15 nov 2019 – Sembra ancora stupito di avere tanta attenzione addosso Alberto Bettiol. Da quel Giro delle Fiandre il suo mondo è cambiato. Da buon corridore è salito sul gradino dei campioni e sì che un po’ se l’aspettava. Si conosce e sapeva la sua gamba allora come oggi.
Lo abbiamo incontrato nella sede di FSA e Vision, marchi con cui lavora la sua squadra, in particolare per le ruote, ma anche manubri, attacchi… Bettiol si è raccontato un po’, la serenità di una stagione appena conclusa da prendere e mettere in cornice. Anche se dopo quel Fiandre qualcosa è cambiato e non è proprio andato tutto per il verso giusto.
«Pensa che prima avevo più tensione nelle gare meno importanti, dove sapevo di dover fare qualcosa, che nelle corse di gran nome. Lì sapevo che c’erano altri campioni a giocarsela e giocavo nel mio ruolo con tranquillità. All’improvviso mi sono trovato sotto ai riflettori, ci si aspettava qualcos’altro di importante da me e questo un po’ mi ha mandato in crisi. Non era una questione tanto di gamba, quanto di testa. Poi sì, spesso vedevo pure che gli altri ne avevano proprio più di me».
Alberto Bettiol si racconta così. Chissà quante volte ci avrà pensato alle aspettative del “dopo Fiandre”. Primo lui a restarci male.
«Anche alla Sanremo avevo rischiato di fare un bel piazzamento – continua incalzato dai giornalisti presenti – ho sbagliato a partire troppo presto. Ho sbagliato a non andarlo a vedere prima, come aveva fatto il mio compagno Clarke. Quest’anno, potete crederci, me lo vado a vedere per tempo il Poggio».
Non ha nominato a caso il compagno di squadra Simon Clarke. Per lui è un po’ una guida anche dal punto di vista tecnico. Ecco, con la sua bicicletta spesso fa scelte dopo aver chiesto al compagno.
«E poi devo dirlo: mi fido dei meccanici – spiega – E infatti mi vogliono bene perché mi fido delle loro scelte e difficilmente sbagliano»
Bettiol è un corridore moderno, giovane, ma non maniaco per la bicicletta. Anche se le scelte tecniche capisce che sono fondamentali. Scherza con i tecnici di Vision: «Chissà, forse col manubrio più aerodinamico quelle due cronometro potevano essere vittorie invece di piazzamenti». Ma sa che può fare la differenza.
I dischi? una svolta
Non avevamo fatto la domanda sui freni a disco a Bettiol. È stato lui a parlarne:
«Sai quando ho capito che non posso più farne a meno dei freni a disco? Al Mondiale.
«Ecco, al Mondiale mi sono proprio mancati. Pensa che chiedevo continuamente di cambiare bicicletta per avere i pattini freno puliti. Nell’ultima discesa perdevo troppo tempo e vedevo gli altri, con i freni a disco, andare avanti con una facilità che io non avevo. Avevo paura, la bicicletta non frenava. Noi con i freni tradizionali dovevamo iniziare a frenare già prima della discesa, per pulire il cerchio, e poi quando si andava giù la reazione dei freni era meno lineare rispetto a chi aveva i dischi. A volte rischiavo di bloccare, oppure di andare lungo, capisci che così perdi tempo. D’ora in poi solo freni a disco».
La sua appare una promessa da mettere insieme anche con il team.
«Sì, ma ormai le biciclette saranno tutte così e non si pone più il problema – conferma – magari qualcuno ancora si farà fare un telaio apposito con i rim brake, ma credo che ormai abbiamo convinto anche Uran».
Sorride.
«L’unico dubbio rimane sul peso. Abbiamo visto che con i dichi ci sono circa 250 grammi in più, ma allora preferisco lavorare su altri accessori per ridurre il peso – fa l’occhietto a Claudio Marra, responsabile di FSA e Vision per avere componenti sempre migliori – ma i dischi per me, ormai, sono irrinunciabili. Anche a costo di avere peso in più.
«E pensa che io ero uno dei più scettici all’inizio sui freni a disco…»
Tubeless, la nuova frontiera
Non si professa troppo tecnico ma le idee le ha chiare anche sulle nuove coperture del ciclismo su strada:
«Le abbiamo utilizzate a cronometro al Tour e il vantaggio c’è – spiega Bettiol – ma dobbiamo capire sulle cores più lunghe quanto ne valga la pena».
«In realtà stiamo lavorando proprio su questo – è intervenuto Maurizio Bellin, general manager di FSA/Vision – sono appena tornato da alcuni giorni in Belgio dove abbiamo fatto dei test specifici sulle ruote tubeless per lavorare sull’affidabilità e fare in modo che la gomma non stalloni in caso di foratura».
Il limite per molti corridori è questo: con un tubolare, in caso di foratura, si può continuare a pedalare sul cerchio senza rischi particolari (al di là dell’ovvio problema della gomma a terra), mentre con i copertoncini uno stallonamento potrebbe provocare una caduta e comunque non si potrebbe continuare a pedalare aspettando l’ammiraglia.
«Il nostro lavoro sta andando proprio su speciali schiume che evitano lo stallonamento – ha spiegato Bellin – e questo permetterebbe di svoltare definitivamente sul tubeless in tutte le gare sfruttandone i vantaggi di comfort e scorrevolezza».
“Magari sento che ne dice Clarke”, scherza Bettiol.
Intanto pare avere le idee molto chiare. La nuova stagione si presenta completamente diversa dal 2019. Uno che ha vinto il Giro delle Fiandre non si può più nascondere e lui lo sa.
«Devo lavorare sulla serenità, è con quella che so di poter dare il meglio e le condizioni in squadra sono ideali per fare bene».
Qualcuno osa sull’anno olimpico:
«No, per ora non ci penso. Anche Davide (Cassani, ct della nazionale, ndr) ha detto che il circuito non è adatto a me, troppo duro».
Però poi rilancia:
«Però quando sto bene al Tour ho già dimostrato di andare forte in salita. Vediamo le sensazioni della stagione e magari ci si ripensa».
Sorride e non ne parla più. Si capisce che non gli dispiacerebbe, ovvio, e con la testa e le gambe, forse, qualcosa in mente ce l’ha pure.
Guido P. Rubino