21 lug 2019 – All’attacco di Alaphilippe. Nel gruppo si è sparsa la voce come un allarme: c’è da attaccare Alaphlippe se no finisce che vince lui. E pensare che ci sembrava folle l’idea di Stefano Boggia quando paventò la cosa a inizio Tour. Quell’articolo sembra profetico adesso. O forse era solo l’occhio dell’ex corridore che faceva dire la cosa giusta.
È presto ancora per dirlo però. Il Tour è lungo e spazio per attaccare la maglia gialla ce n’è tanto. Certo, lui dalla sua ha sempre più cartucce però. Oltre alla condizione che appare davvero favolosa, ha anche la condizione di avversari, sulla carta più forti di lui, che non è affatto all’altezza del loro nome. Barguil, Adam Yates, Quintana e, clamorosamente, anche Thomas. Nibali forse ce lo aspettavamo pure che non fosse in “forma Tour”, ma questi si stanno autoeliminando. Almeno per quel che abbiamo visto fino a ieri.
All’attacco di Alapghilippe bisogna andarci al più presto che le tappe passano e lui resta inesorabilmente lì. Se la cronometro si poteva considerarla adatta alle sue caratteristiche, che dire della tappa del Tourmalet? Sì: che era corta e che forse gli avversari non hanno carburato come si deve. Appare un po’ tirata come spiegazione.
Alaphilippe è lì, lo è sempre stato e anche con una lucidità che, col senno di poi, è stata impressionante.
Quando i suoi avversari si illudevano di vederlo quasi in difficoltà, perché nelle ultime posizioni del gruppo che continuava a perdere pezzi, lui era, in realtà, a curare la ruota del suo avversario numero uno: Geraint Thomas. Aveva battezzato la sua ruota e l’ha mollata solo un attimo prima che questi si staccasse, nel tratto finale. E in quell’arrivo trionfale per Pinot, dove non ha risposto subito allo scatto, Alaphilippe ha dimostrato di aver fatto una scelta tattica: perché quando c’è stato da alzarsi sui pedali per agguantare la seconda posizione, ha recuperato metà del vantaggio a Pinot.
Lucido e micidiale.
All’attacco di Alaphilippe non sono solo i suoi avversari, ma anche il pubblico che non è dalla sua parte. E questo, a dire il vero, è l’attacco più brutto che possiamo registrare.
Da troppe parti si stanno alzando voci che si chiedono: “sarà vero? È tutto frutto delle sue gambe o c’è qualcosa di opaco che non sappiamo?”
Ecco, la cultura del sospetto, nel ciclismo, si è radicata anche nei difensori del ciclismo. Ma così si corre il rischio di non godersi un campione, di non riconoscerlo. E questa sarebbe l’onta maggiore che si potrebbe fare al ciclismo stesso. E Alaphilippe, in questo momento, si sta dimostrando un campione. Lo sarebbe anche se oggi dovesse andare in crisi e prendere un quarto d’ora. L’impresa l’ha già fatta, è da inizio stagione che ne sta facendo. Riconosciamo e celebriamo il campione.
Perché il sospetto poi? Perché lo conoscevamo come cacciatore di corse di un giorno, anche importanti, ma non di Grandi Giri? È vero, ma è un corridore che ha dimostrato una tenacia pazzesca sin da giovanissimo. Salite – non così lunghe, fino ad ora – ne ha fatte andando anche all’attacco.
Ha 27 anni ed è in piena maturazione.
È solo un bluff? Speriamo davvero di no.
C’è da attaccare Alaphilippe sì, ma sulla strada. Il resto sono chiacchiere.
Godiamocelo.
Guido P. Rubino