di Guido P. Rubino
Donne e motori (elettrici), è una formula che funziona?
Mi accorgo, dopo aver letto diversi appunti su internet, di non essere stato l’unico a porsi la domanda in questa anteprima di fiera (ne parlo qui, per chi vuole sapere dei contenuti ciclistici): davvero per vendere biciclette e moto, ma anche qualsiasi altra cosa, serve mettere delle donne avvenenti, che ti guardano come se ti conoscessero già, a contorno degli oggetti del desiderio che dovrebbero restare bici e moto, almeno all’Eicma?
Pare di sì, almeno a vedere l’andazzo generale (e non solo del marchio oggetto di questo articolo, va detto), ma certo il dubbio che serva davvero resta. Almeno quando ho guardato gli avventori soffermarsi a fotografare le donne più che le moto o le biciclette. Si ricorderanno, in quelle foto, quale marchio cercavano di sponsorizzare? Difficile, a meno di scritte posizionate tatticamente (c’erano anche quelle, nemmeno a dirlo). E questo prima ancora di entrare nei meriti di considerazioni più o meno sessiste (eh già: sicuri che sia utile alimentare commenti e battutacce di chi si sente legittimato, forte della “merce” in esposizione).
Paolo Pinzuti, su Bikeitalia (trovate l’articolo qui) ne fa una questione di marketing e offre spunti interessanti. È una comunicazione vecchia che distoglie dal prodotto e lascia molti dubbi di opportunità, soprattutto in questo periodo. Chiariamo subito, non è affatto questione di politically correct con cui spesso pure si spinge su argomenti che forse si spegnerebbero anche da soli. In definitiva rischia di diventare di cattivo gusto commerciale.
Una questione di marketing?
Tra le biciclette a spiccare in questo senso, tra gli altri, è lo stand Atala all’Eicma. Donne davvero avvenenti che si aggirano tra le biciclette ma, permettetemi, per Atala la questione di marketing fatto sui centimetri di pelle scoperta è secondario. Peraltro è molto in linea con li resto degli stand, motociclistici o meno, da non saltare neanche all’occhio nel contesto generale (e riviste di settore hanno già pubblicato le foto delle ragazze e non delle moto, sul serio?)
Il problema ancor più grosso di marketing di alcuni marchi italiani è dimenticare la propria storia. Che sarebbe la loro forza.
Sì, perché nello stand Atala ci sono biciclette interessanti (le avevo già segnalate nel pezzo di questa mattina) ma la scritta Atala non compare quasi. Il gruppo Atala è, ormai da parecchio tempo passato di proprietà in proprietà, perdendo la storia per strada, tanto che, a un certo punto, qualcuno ha pensato bene che per stare al passo con i tempi quel nome “Atala” fosse da consegnare al passato e da relegare a biciclette mediamente di bassa gamma e con poche eccezioni. Meglio promuovere un marchio nuovo, allora, americaneggiante e tutto da far scoprire, partendo da zero quando si aveva già tutto in tasca.
È logico? La storia parla chiaro: negli anni Ottanta Atala era un marchio che se la giocava, per prestigio con nomi del calibro di Pinarello, Bianchi, Colnago, De Rosa. Oggi no e Whistle è poco pervenuto. Peccato e non è certo questione recente. Toccai il problema con mano quando lavoravo al libro “Biciclette Italiane” (Bolis, 2011) e già 10 anni fa recuperare materiale ufficiale dall’azienda si rivelò cosa praticamente impossibile: era stato tutto buttato via perché c’erano biciclette da vendere.
E a onore di giustizia, non è l’unico marchio ad aver dimenticato la storia.
23 nov 2021 – Riproduzione riservata – Cyclinside