di Maurizio Coccia, con Guido P. Rubino
In fondo è bastato poco per riaccendere la polemica: un vento fortissimo che sferza di fianco, una strada infida come quella degli sterrati senesi, per l’occasione resi ancor più scivolosi da una micidiale secca.
Così, per colpa di una folata violentissima, in discesa è andato a gambe all’aria mezzo gruppo, compreso “sua maestà” Alaphilippe, che poco ha potuto per non capitombolare su chi per colpa di quella raffica gli era ruzzolato davanti.
Ruote ad alto o ad altissimo profilo, telai con architetture sempre più “estreme” – e per questo difficili da guidare – sono ancora una volta i primi imputati in questa querelle di certo non nuova, che ancora una volta chiama in causa le caratteristiche dei materiali e non da ultime le responsabilità dei corridori. Sì, perché questa volta l’aggravante sta nel fatto che già dalla vigila l’organizzazione aveva allertato sul “vento forte” che avrebbe caratterizzato all’indomani la gara.
«Proprio per questo motivo i nostri corridori, e anche Alaphilippe che, in definitiva, è caduto falciato da altri, montavano ruote Roval Alpinist – ci ha spiegato Gian Paolo Mondini, che segue i team per Specialized – che sentivano meno il vento laterale».
Ma è mai possibile che tanti corridori a tutto questo non pensino e preferiscano comunque puntare sui materiali performanti a tutti i costi e ad ogni costo? Cambiare profilo delle ruote è il minimo che potrebbe servire in questo senso, senza considerare che oggi alcuni costruttori che equipaggiano le squadre World Tour hanno “in casa” dei telai con caratteristiche geometriche e tecniche meno spinte, che appunto potrebbero fare al caso di gare particolari come la Strade Bianche o – prima tra tutte – la Paris-Roubaix.
In questo senso ci vengono per prime alla mente le gravel bike; o forse no, forse con le gravel abbiamo esagerato, perché trattasi di telai troppo “rilassati” e comodi per fare al caso delle corse professionistiche odierne, seppur su strade dissestate. Ma in realtà oltre alle gravel tutti i costruttori hanno oggi in catalogo le cosiddette bici “endurance” o se preferite le “granfondo”, che a giudicare da come vengono dipinte e raccontate dovrebbero essere un’ideale via di mezzo tra bici race e gravel.
E allora, perché non considerarle opzione valida anche per una “Strade Bianche” o per competizioni sui generis che diventano sempre più frequenti? «Sarebbe impossibile. Perché per un corridore c’è un doppio ordine di problemi in tal senso, tecnico, ma soprattutto di testa»: la nostra domanda l’abbiamo girata direttamente a un product manager di un marchio, Wilier Triestina, che da anni è al fianco di squadre prof e che in questo 2022 equipaggia la Astana Qazaqstan Team. «La nostra bici endurance 110 NDR – continua Salomoni – ha uno stack più alto della Filante SLR (la bici usata dal team, ndr) di ben tre centimetri. Cambiare assetto in modo così radicale non è possibile per il corridore, che è abituato a una posizione tutta diversa. Questo succede anche per una semplice questione di testa, per l’abitudine maturata a pedalare in una posizione diversa».
Ma non solo: per tornare alla Strade Bianche, ci spiega ancora Salomoni «Pensiamo a cosa avrebbe potuto comportare a livello aerodinamico se Pogačar avesse avuto un’ipotetica bici con un manubrio messo tre centimetri più in alto per fare i suoi cinquanta chilometri di fuga… Forse non sarebbe finita come è finita».
In effetti nel ciclismo professionistico moderno le soluzioni tecniche sembrano sempre più votate verso l’estremo, verso la radicalizzazione, e questo nonostante le occasioni di confrontarsi su percorsi o gare particolari diventano sempre più frequenti: «I professionisti oggi fanno delle scelte strane – dice Salomoni -. Ad esempio, oggi c’è sempre più la tendenza a chiudersi sul manubrio, per cercare la massima aerodinamica si usano curve sempre più strette. Tra i prof se oggi non usi la 40 centimetri misura “centro/centro” sei uno sfigato… Ma oggettivamente tanto più stringi il manubrio, tanto più diventa difficile controllare la bici in situazioni di emergenza».
In un contesto simile, se una bici endurance appare inadatta, figuriamoci cosa potrebbe essere usare le ancor più “comode” gravel nelle gare professionistiche… «In realtà la nostra gravel Rave SLR (Cyclinside l’ha testata qui) ha uno stack molto basso, è solo un centimetro più alta della Filante SLR. In teoria potrebbe anche essere interscambiabile tra le varie gare, ma in realtà qui una differenza marcata è nel reach, che è più corto, per questo diventa sempre molto complesso fare il cambio. No, allo stato attuale la Rave SLR è una bici sostanzialmente per competizioni gravel, non certo per gare come la Strade Bianche o la “Roubaix”. Alla Roubaix il corridore moderno vorrebbe avere un compromesso tra una bici da pista per affrontare le altissime velocità di questa corsa e una bici comfort per affrontare i tratti di pavé». E oggettivamente la Rave SLR e tante altre gravel presenti sul mercato non sono adatte in questo senso.
«No – conclude Salomoni – più che sul telaio l’adattamento tecnico va fatto sui componenti, sulle ruote e sulle coperture prima tra tutte. Qui si può lavorare moltissimo, perché i fornitori mettono tantissime soluzioni a disposizione. Credo che ostinarsi a montare ruote ad alto profilo, in una giornata ventosa come è stata la Strade Bianche, sia stata una scelta da folli…».
Più possibilista Specialized, ma il punto tecnico è su un piano diverso. «In realtà – ci ha spiegato ancora Mondini – la possibilità di usare un’altra bicicletta ci sarebbe. È quel che facciamo regolarmente alla Parigi Roubaix dando il telaio “Roubaix” che è proprio adatto ai fondi più sconnessi, pur non essendo una gravel. I nostri corridori lo usano regolarmente in quell’occasione.
«Però ci siamo resi conto che sui percorsi delle Strade Bianche ci sono molti tratti in sterrato con pendenze impegnative dove il peso della bicicletta può contribuire a fare la differenza. Tant’è che, tolti i fenomeni come Van Aert e Van der Poel, ad andare bene e a vincerla sono spesso i corridori più leggeri.
«È una gara che più che alla Roubaix assimilerei a un Giro delle Fiandre dove con gli strappi impegnativi e pure sul pavé non viene in mente di pensare a soluzioni gravel. La differenza pure lì viene fatta sui muri.
«Allora è meglio – prosegue Mondini – utilizzare gomme tubeless da 28 millimetri di sezione come hanno fatto i nostri corridori, gonfiate a pressioni attorno a 5,8 bar con differenze di più o meno 0,2 bar a seconda del peso e delle caratteristiche del ciclista. Tra l’altro nella nostra ricognizione avevamo notato come, anche a causa del freddo, il terreno fosse molto duro. Molta differenza, ad esempio, rispetto a quando si corse ad agosto e la strada era secca ed arida con le rocce che spuntavano fuori. Alaphilippe in quell’occasione si ostinò a partire con gomme con sezione da 26 e forò diverse volte».
9 mar 2022 – Riproduzione riservata – Cyclinside