di Guido P. Rubino
21 giu 2021 – Molti si chiedono in questo momento se sia il caso di spingere ancora sulla bicicletta con un incentivo economico a favore della mobilità a due ruote a pedali.
Se la risposta dovesse essere un sì sarebbero ovviamente necessari degli importanti aggiustamenti di tiro.
Se n’era già parlato lo scorso anno ai tempi dell’incentivo che è terminato a fine 2020: quei soldi, così come era strutturata l’iniziativa, rischiavano di andare in maniera importante a favore di mezzi che non avrebbero contribuito a snellire la mobilità cittadina (il fine dell’iniziativa era quello e non potrebbe essere diversamente nel caso di un rilancio). Allora si agì, paradossalmente, per necessaria semplificazione nel voler fare le cose rapidamente senza perdersi in inghippi burocratici.
Sappiamo bene com’è andata a finire con le tempistiche, fermo restando che il riconoscimento degli acquisti c’è comunque stato dalla data prestabilita e recuperando pure i ritardatari.
Sta di fatto che invocare un altro bonus, nell’immediato, non ha senso per motivi pratici: mancano le bici e, probabilmente, non avrebbe senso nemmeno se le biciclette fossero disponibili in abbondanza nei negozi. Se ne venderebbero di più con il bonus? Probabilmente non ci sarebbero differenze sostanziali.
A far vendere più biciclette è stata la promozione che se n’è fatta e la spinta verso l’utilizzo. Una promozione che ha avuto un’onda lunga incredibile, stimolata anche da quel che è avvenuto e sta avvenendo nel resto del mondo (dove non ci sono stati incentivi).
E anche qui, che gli incentivi li abbiamo avuti, siamo sicuri di aver risparmiato davvero? Alla fine, molti negozianti hanno sostituito lo sconto che c’è sempre stato con l’applicazione del bonus riuscendo, finalmente, a vendere a prezzo di listino e senza sconti ulteriori.
Ma questo, ovviamente, non è un male: la spinta c’è stata ed è apprezzabile, piuttosto ora, invece che pensare ad altri bonus, è il caso di indirizzare diversamente gli sforzi anche economici. È il momento, sempre di più, di lavorare sulla cultura della mobilità di cui la pandemia ci ha fatto capire l’importanza. Alla fine, almeno in questo, ne stiamo uscendo migliori.
Ma il problema è proprio qui: quanto si può fare davvero per cambiare, o almeno indirizzare, la cultura della mobilità?
In questi ultimi mesi si vedono messaggi pubblicitari, ma anche attenzioni governative, verso la svolta elettrica: ma quella delle automobili piuttosto che verso le biciclette che, elettriche o meno, aiuterebbero decisamente di più. La soluzione di sostituire le automobili con motore termico con altre elettriche non risolve il problema degli spazi. Aiuta nel ridurre l’inquinamento (sì, l’energia elettrica deve essere prodotta da qualche parte, ma almeno si porta una gestione diversa dall’inquinamento che ne deriva fuori dai centri abitati e questo, per quanto discutibile, ha un senso comunque).
E le biciclette?
Ci fosse un incentivo a utilizzare i percorsi ciclabili aiuterebbe certamente nel risolvere il problema.
Torniamo a discorsi già fatti: basterebbe far provare i percorsi ciclabili e si avrebbero già delle soluzioni durature. Molti di coloro che utilizzano regolarmente l’automobile scoprirebbero che la bicicletta è un’alternativa concreta, non un sacrificio e, anzi, una soluzione al tempo perduto nel traffico (oltre a tutto quel che di positivo consegue dall’attività fisica regolare).
Su questo tema c’è un bell’inghippo di interessi evidentemente. La crescita esponenziale delle biciclette ha portato a una spinta maggiore della pubblicità di altri veicoli che vedono minacciato il loro mercato. Tutto legittimo, ovviamente, ma ci preoccupa un po’ il silenzio del Governo sulla mobilità ciclabile.
Non pensiamo al bonus, ma è necessario ragionare sulle infrastrutture. Sono fondamentali in questo momento. Non è un caso che molti di coloro che non utilizzano la bicicletta motivino le loro ritrosie alla paura del pedalare nelle nostre città che si sono adattate all’automobile pur non essendo nate per le automobili (quindi, per favore, non diciamo che le città non sono fatte per le biciclette: sono nate più per le bici che per le automobili, solo che si sono naturalmente adattate alle seconde. E una marcia indietro ora si impone per motivi pratici ed economici).
I lavori che si stanno facendo in tanti convegni, proprio in questo periodo, coinvolgono in maniera trasversale tante infrastrutture che sono facilmente adattabili alla bicicletta (in parte lo sono già) e con investimenti limitati si possono ottenere risultati molto importanti.
L’esempio non è solo italiano, ovviamente, e a prendere spunto, per una volta, potrebbe essere l’occasione per anticipare i tempi invece che trovarsi sempre al rimorchio un po’ affaticati.
Insomma, niente bonus che, come tale, serve a mercati in difficoltà e non è certo quello della bicicletta in questo momento. Ma gli investimenti servono eccome. C’è una massa di biciclette che vogliono solo essere pedalate, perché per ogni 10 che vediamo in giro, ce ne sono altre 100 che aspettano tempi migliori.