5 apr 2020 – Il Fiandre che non c’è è difficile da digerire. La “Lockdown edition” si sta correndo sui rulli di tantissimi ciclisti in queste ore, professionisti compresi. Altri sono già sul divano a ripercorrere le edizioni passate nell’illusione di normalità: sarebbero stati sul divano anche in condizioni normali, magari dopo una bella sgambata mattutina a riempirsi di primavera.
Invece restiamo qui, siamo ancora qui. Sempre qui. La bandiera delle Fiandre piegata da una parte per questa settimana santa del ciclismo a mezz’asta, mentre da fuori arrivano notizie inquietanti di conoscenti o parenti che se ne vanno.
E allora il ciclismo ci manca ancora di più. In certe situazioni diventa un diversivo, una rivincita, uno sfogo, un urlo liberatorio.
Oggi ci resta strozzato in gola mentre osserviamo curve statistiche chiedendoci quanto quei numeri siano vicini alla realtà, cercando di trovare quella curva discendente per cui tifiamo tutti. Una bufera che ci fa pensare ai ventagli di una corsa difficile, ai muri di pavé che arrivan all’improvviso, dietro una curva e constringono qualcuno al piede a terra.
Sì, il Giro delle Fiandre oggi sarebbe stato perfetto. Da rincorrere nelle stradine per incrociare la corsa più volte che si può, prima di scaraventarsi all’arrivo ad applaudire un veterano o una sorpresa, comunque un campione, che certe corse non si infilano mai per caso.
Celebriamo un mito al contrario oggi. Una corsa sopravvissuta a due guerre e ora fatta di strade silenziose e solo dimemoria.
Quasi quasi torniamo sui rulli. E poi una birra, tanto per non andare contro la tradizione.
Buon Giro delle Fiandre, Lockdown Edition.
…che poi c’è chi se la pedala dal vivo, ovviamente:
GR