17 dic 2017 – Campagnolo ti passa vicino e te ne accorgi appena alzi lo sguardo. La scritta è lì dall’inizio degli anni Ottanta, quando l’azienda si trasferì in via della Chimica, a Vicenza, che il vecchio stabilimento di Porta Padova ormai era diventato troppo piccolo.
«Che si vedesse bene anche da lontano». Così la volle Tullio Campagnolo, lunga quaranta metri. E ti corre a fianco come un ciclista che cambia rapporto, ti guarda in faccia e ti lascia lì.
Antico e moderno sono due corridori in fuga che negli stabilimenti Campagnolo si rincorrono dandosi cambi regolari. E allora capita di trovare i computer che progettano in 3D i nuovi componenti, così come quella stessa lima con cui Tullio iniziò a darsi da fare per fare di quelle due ruote e catena un mezzo moderno. La lima ora ha una forma nuova, più efficiente, magari automatizzata, ma è sempre una mano a usarla.
Laboratori che si alternano a casse di semilavorati. Viene quasi voglia di affondare la mano tra le maglie della catena buttate lì, in una scatola enorme, oppure nei telaietti che andranno a costruire i tendicatena del cambio posteriore. Affondare la mano come in una sacca di spezie, ma queste non vengono dall’Oriente. E ci si potrebbe fermare lì e mettersi a costruire da soli il proprio cambio, come faceva Tullio quando c’era da far nottate a perfezionare qualcosa per un corridore speciale.
Tullio Campagnolo, lima e inventiva
Tullio Campagnolo volle così, quando abbandonò un impiego sicuro, ma irrimediabilmente noioso per uno come lui, per tornare nella ferramenta del padre. Si poteva sfogare la creatività lì e per lui, diventato corridore per passione e forza, quello fu il suo vero trampolino di lancio. Sperimentava e lavorava il metallo per piegarlo alle sue idee e iniziò a rendere la bicicletta più sofisticata, ma anche più semplice. Perché rompersi le mani per sganciare una ruota e girarla per cambiare rapporto? Meglio una levetta (1930 – Sgancio rapido). Perché scendere di bici e cambiare rapporto, o avere un tendicatena fastidioso? Meglio due levette, che sganciano, cambiano e poi via a pedalare ancora, con fluidità e silenzio (1946 – Cambio Corsa). Ancora meglio se la levetta diventa usa sola (1950 – Cambio Parigi Roubaix).
Tullio Campagnolo, intanto, aveva fondato un’azienda e lavorava insieme ai corridori. Cambiare girando i pedali al contrario era una perdita di tempo e non fu il primo a rendersene conto, ma la sua soluzione con la struttura a parallelogramma era quella vincente (1950-1951 – Cambio Gran Sport). Ancora oggi il principio di base è lo stesso, anche con le innovazioni elettroniche. Via via perfezionato avanzando il bilanciere (Cambio Record – 1962) e poi ancora di più nelle versioni alleggerite dell’epoca moderna (Cambio Super Record – 1973 e, ancora di più, nella versione del 1979).
Moderno e antico, cambi regolari
Il reparto di produzione di Campagnolo rispecchia lo spirito del fondatore. Non si può fotografare tutto, anzi, come si entra un cartello mette chiaramente sull’avviso, ma qualcosa riusciamo a fare. «Al massimo mi licenziano» scherza il nostro interlocutore che ci fa da guida. Scivoliamo via veloci verso la produzione delle ruote, passando per dove nascono le catene.
E anche qui moderno e antico si danno cambi regolari.
«Curioso no? abbiamo macchinari che costano centinaia di migliaia di euro ma poi le personalizzazioni e le ottimizzazioni si fanno con quello che si trova».
D’altra parte cosa c’è di meglio per fare scorrere una catena che un mozzo e un pignone veri? Poi c’è sempre la precisione dei controlli laser, delle verifiche dimensionali.
L’uomo delle ruote
Tecnologia e tradizione si fondono nel crogiolo di una tradizione che prosegue e sa reinventarsi e rilanciare per tenersi al passo con i tempi e la concorrenza. Come le ruote.
Nella bicicletta da corsa moderna, le ruote possono fare la differenza come le casse in uno stereo. E allora è meglio che siano fatte per bene. Sofisticate e controllate una ad una, lavorate direttamente con le mani. Quelle di Franco Rigolon, ad esempio.
Nell’anno dell’ottantesimo anniversario di Campagnolo, lui ha tagliato il traguardo dei dieci anni in azienda. Si occupa delle ruote lenticolari, se ne vedete una marchiata Campagnolo è passata per le sue mani. Cinque a settimana, non una di più, nate in una sala parto dove il signor Franco ne cura pure la gestazione. Ha il compito di assemblare i pezzi lavorati, le ruote si formano nelle sue mani giorno per giorno, lui sa quanto farle riposare, quanto lasciarle nel forno perché il carbonio assuma la caratteristiche ottimali e quando sono pronte per essere imbustate nella loro sacca e mandate al confezionamento finale.
Moderno e antico. Tra i vari test fatti sulla fibra di carbonio all’inizio, quando si decise che sarebbe stata protagonista delle ruote Campagnolo, ce ne fu uno un po’ strano. Presero una ruota e la lasciarono sul tetto dell’azienda per un anno intero. Fece la neve e quel caldo che in Veneto non scherza nei giorni giusti. Restò lì, un capitale e una fortuna e nessuno se ne accorse. La ruota, per la cronaca, restò perfetta. Solo la scritta si deteriorò un po’ sotto il sole. Poco male.
Dal gruppo al carbonio
Tecnica e tradizione, ma anche attenzione estetica. La nuova spinta la diede il figlio di Tullio Campagnolo, Valentino che prese le redini dopo la morte del padre e lanciò un gruppo dalle linee uniche (C-Record – 1984). Design e aerodinamica, ecco l’altra coppia inseguitrice. Negli anni Ottanta erano la nuova frontiera in un’evoluzione che riguardò anche i freni e tutto il gruppo che via via si era formato. Sì, perché Campagnolo non era più solo cambi. Già dagli anni Cinquanta era iniziata la produzione dei forcellini e di altri accessori, fino ad arrivare al concetto moderno di “gruppo”, ossia quei componenti che fanno di un telaio una bici completa. O quasi.
E quel gruppo segnò un giro di boa importante, quello verso la modernità delle linee. Moser aveva appena fatto il suo Record dell’Ora su una bicicletta da fantascienza.
L’arrivo della fibra di carbonio e l’aumento dei rapporti è roba di storia ciclistica contemporanea. Dal fragore delle 10 velocità (cambio Record – 2000) allo slancio finale degli undici rapporti sulla ruota posteriore (Cambio Super Record – 2009) e infine i sistemi elettronici (Cambio Super Record Eps – 2011).
E sono sempre tutti lì, in fila, col vento in faccia e cambi regolari, nei corridoi di produzione Campagnolo. Polvere non ce n’è, si testa e si prova e si chiacchiera con gli atleti, così come ha insegnato Tullio. Ma si incontrano anche corridori e testimonial, che la comunicazione oggi conta più che mai, come aveva intuito bene Tullio Campagnolo con i suoi quaranta metri di scritta lì, sulla palazzina degli uffici. Da Juri Chechi alle cicliste. E nella nostra fortuna abbiamo incrociato Rochelle Gilmore che pensava alle ruote e ci ha regalato un sorriso. Campagnolo è arrivato fino in Australia e ritorno. E il traguardo degli ottant’anni, come suggeriscono in azienda, diventa una nuova partenza. Anzi, un nuovo “start”.
Ve lo raccontiamo.
In azienda
Guido P. Rubino