12 giu 2019 – Ostia (Roma) – Riprende tutto, ma davvero tutto, quel che di spettacolare e adrenalinico c’è nel ciclismo: dalle gare a criterium riprende la formula del percorso a circuito che addestra gli atleti ed entusiasma gli spettatori; dalle gare su pista riprende la lucida “follia” di bici senza freni e senza ruota libera; dalle gare a cronometro riprende la velocità di tratti percorsi sul filo dei sessanta all’ora; dalle gare di ciclocross riprende l’intensità di uno sforzo che dura meno di un’ora ma che è tutto in acido lattico; dalle gare su strada riprende il tatticismo estremo che porta i migliori a tallonarsi per quasi tutta la gara per poi giocarsi la vittoria all’ultima curva; tutto questo con biciclette splendide nel loro minimalismo e nella loro essenzialità, più o meno come succede per le biciclette da pista; e tutto questo con un formato che ha scelto la notte come il momento ideale per disputare la “finalissima”.
Sì, forse lo avrete capito, stiamo parlando delle gare con bici a scatto fisso, quella disciplina nata negli Usa una ventina di anni fa in modo quasi clandestino e autogestito (le prime competizioni di “fixed” erano prove improvvisate e autogestite tra bike messanger che si sfidavano con le loro bici a scatto fisso nel traffico delle metropoli americane), ma che ormai da diversi anni è stata riconosciuta e codificata a livello normativo e che qui in Italia ha anche un campionato nazionale sotto l’egida della FCI.
Appunto, la prova unica di Campionato Italiano per bici a scatto fisso 2019 si è corsa lo scorso 8 giugno ad Ostia, per la precisione nella originale location del Porto Turistico di Roma, dove l’impeccabile organizzazione della Pro Bike Riding Teamha allestito uno spettacolare circuito di millecinquecento metri, che i finalisti uomini hanno dovuto percorrere 23 volte e le finaliste donne 15.
Chi corre le con le scatto fisso
In Italia sono circa duecento gli specialistiche si cimentano nelle competizioni di bici a scatto fisso. In realtà la maggior parte degli appassionati del genere non pratica questa disciplina in modo esclusivo: il calendario ufficiale italiano conta dieci, quindici competizionil’anno; anche per questo la maggior parte degli atleti che abbiamo visto correre ad Ostia alternano le competizioni di fixed con le gare a circuito, altri con le gare su strada della categoria dilettanti, altri ancora con la mountain bike e il ciclocross.
Paradossalmente quasi nessuno pratica la pista, anzi, tanti la disciplina dell’anello non l’hanno mai praticata. «La pista è tutta un’altra cosa – ci spiega Gian Luca Bassi, uno dei partecipanti –. Anche se la bici fondamentalmente è la stessa nelle gare di fixed hai le curve da fare, che nella pista praticamente non esistono». Le curve sono spesso secche, a 180 gradi. Ad Ostia ce n’erano quattro: si tratta di autentiche rasoiate per i muscoli, perché nelle gare a scatto fisso la componente della decelerazione è faticosa tanto quanto quella del rilancio dopo ogni curva. Anzi anche di più: «Più arrivi lanciato, più rallentare per affrontare la curva ti costa fatica. Devi lavorare con le cosce per diminuire l’andatura e già dopo qualche giro senti le gambe che ti vanno a fuoco».
I più preparati, oltre che con le gambe, per decelerare riescono anche a “skiddare”: è quel movimento per cui, prima della curva, con la bici già in traiettoria non più rettilinea, sollevi la ruota posteriore e in quel momento fai opposizione alla pedalata con le cosce, causando una vera e propria sgommata non appena la gomma ritocca terra, velocizzando di conseguenza la decelerazione. È una manovra per guidatori esperti, se non altro perché la devi fare sul filo dei cinquanta all’ora e la devi compiere quando nella maggior parte dei casi sei in fila indiana, sei nel gruppetto con cui ti ritrovi a condividere la gara.
«Se nelle gare a scatto fisso si cade è perché sei sempre uno dietro l’altro – continua Bassi – . Come nel ciclismo su strada qui stare a ruota conta tantissimo, ma stare a ruota qui è molto più pericolosoe delicato, perché se quello che sta davanti a te sbaglia, per te che sei dietro è difficilissimo rimanere in piedi». Come nel ciclismo su strada anche nelle gare a scatto fisso si può andare in fuga, con la differenza che qui prendere anche solo cento metri è difficilissimo e se ci riesci è come se su strada avessi preso un minuto. «Andare in fuga? A riuscirci… Perché una volta che ci sei riuscito è vero che ti prendi il vento in faccia, ma non hai lo stress e la tensione continua di quando sei in gruppo, che non sai mai che traiettoria e che movimenti farà quello che si sta davanti».
Quarantacinque minuti a tutta
La formula delle gare a scatto fisso è con batterie di qualifica della durata di trenta minuti che danno diritto alla partecipazione alla finale da 45 minuti, che si disputa sempre nella stessa giornata, quasi sempre di sera, con il buio. Il risultato delle batterie definisce la griglia di partenza, organizzata con le postazioni esattamente come nelle gare motoristiche. Nelle gare a scatto fisso fare una buona partenza è fondamentale: parola d’ordine, subito a tutta, per guadagnare le posizioni migliori nei primi giri. Anche per questo tutti i corridori si scaldano adeguatamente con i rulli fino a cinque minuti dal via. In una gara fixed le velocità non sono elevate per quel che riguarda i picchi” (al massimo si arriva a 50 chilometri orari), ma impressionante è la sequenza ininterrotta di decelerazioni e accelerazioni, corrispondenti l’entrata e l’uscita dalle curve. L’intensità di lavoro è massimale, la frequenza cardiaca media è spesso superiore alla frequenza di soglia anaerobica. Sono 45 minuti di fuoco, durante i quali alimentarsi anche solo in maniera liquida è impensabile, se non altro perché è molto pericoloso staccare anche per un istante le mani dal manubrio.
Le bici a scatto fisso
Prima di tutto carbonio, poi alluminio e qualcuno anche acciaio: le bici per le gare a scatto fisso utilizzano i materiali “classici” dell’industria ciclistica attuale. I telai sono strettamente apparentati a quelli da pista per quel che riguarda l’ingresso posteriore della ruota fissa, ma se ne differenziano perché la geometria è quella di una bici da strada, quindi con angoli meno dritti e con un passo totale più lungo rispetto alle bici da pista. Sì, perché guidare una bici da pista sui tracciati nervosi dei circuiti di fixed sarebbe impossibile. A parte il mozzo posteriore le ruote sono quelle delle bici da strada, preferibilmente con cerchio in carbonio ad alto profilo e pneumatici tubolari. Anche la curva manubrio è quella delle bici da strada, preferibilmente con “code” dall’altezza compatta e di conseguenza più comode, perché qui le mani dalla presa bassa non le levi neanche un secondo durante tutta la gara. La moltiplica usata varia a seconda del tracciato o delle caratteristiche del corridore, ma in ogni caso l’accoppiata “corona+pignone posteriore” deve generare uno sviluppo metrico che non sia mai tanto lungo da doverti poi obbligare ad una grande forza sia per rilanciare la bici, sia per decelerarla prima di una curva.
Chi ha vinto?
Prima ha studiato le sue avversarie senza scoprirsi troppo, poi, con un’azione di forza al penultimo dei 15 giri, le ha piantate in asso, andando a vestire il tricolore: la prova femminile di scatto fisso è stata vinta dal Martina Biolo (Team Cinelli Smith),che ha preceduto di qualche secondo Arianna Coltro (IRD Squadra Corse) e Paola Panzeri (U.C. Comense 1887).
Ancor più rocambolesca e avvincente la finale uomini, andata in scena alle 21:00, non appena sul litorale romano è scesa la notte: a menare le danze per buona parte della gara c’è stato un drappello di sei uomini, che hanno dato spettacolo con scatti e controscatti a ripetizione, dei quali nessuno è riuscito a fare la differenza. Così, il più preparato e scaltro si è rivelato il laziale Stefano Capponi (Pro Bike Riding Team)abile anche a schivare una caduta occorsa a cinquecento metri dall’arrivo. Argento e bronzo rispettivamente sono andati a Luca Sacchetti (ASD Amatori Milano) e Andra Tincani (ASD Squadra Corse).
Per Stefano Capponi una gioia incontenibile e anche un po’ di stupore, lui che come tutti i praticanti in Italia di scatto fisso non fa questo di professione, ma alterna la bici al lavoro e in inverno alla amata bici da ciclocross. A vestire i neo campioni italiani sul podio è stato il Presidente della Federazione Italiana Renato di Rocco, visto che la FCI da due anni ha preso atto dello spessore e della validità di questa disciplina e questo movimento, andando appunto a codificare la prova tricolore in gara unica. Speriamo che anche il pubblico si accorga di quanto spettacolari e coinvolgenti siano queste gare, perché, come purtroppo succede spesso in questi casi, i numerosi spettatori presenti ad Ostia erano soprattutto addetti ai lavori e accompagnatori, e molto meno pubblico “extrasettore”.
Le gare di fixed meriterebbero di più, perché no anche dal punto di vista televisivo, perché come tutte le competizioni su un circuito chiuso sono le più facili per essere catturate dall’occhio delle telecameree soprattutto perché questo genere è davvero una summa di quanto di più spettacolare possono tirare fuori due ruote a pedali.
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Maurizio Coccia