Sfreccia sulle bacheche social di tutta Italia uno studio del MIT Senseable City Lab – ente del Massachusetts Institute of Technology che ha tra i propri membri realtà come Toyota, Volkswagen, Amsterdam, Stoccolma e l’Emilia-Romagna – che sostiene che nelle cosiddette “Città 30”, ovvero le città in cui in gran parte o del tutto viene applicato il limite di 30 km/h, come per esempio Graz, che ha adottato pionieristicamente questa pratica dal lontano 1992, le emissioni inquinanti e i tempi di percorrenza aumentino.
Questo assunto, spiegato bene nell’abstract disponibile in Rete, dove si specifica che si tratta di una simulazione teorica basata sui dati di 34 milioni di passaggi veicolari nel Comune di Milano durante il 2023, interpretati con il modello COPERT, ha scatenato un fortissimo dibattito tra i sempre attenti utenti di Facebook (su Instagram si pensa ad altro, diciamo), sintetizzabile nella frase: «Ecco smontate tutte le teorie dei “ciclotalebani”, le Città 30 sono inutili, anzi peggiorano la situazione».
Trovate ovunque discussioni sul tema con vari livelli di creatività, in cui i sostenitori delle opposte fazioni s’impegnano per dimostrare, sconfessare, sostenere. Piccolo problema e sommesso parere nostro: è tutto inutile e sbagliato, perché il tema delle Città 30 ha molto poco (quasi niente) a che fare con le emissioni inquinanti. Difficile da credere ma è così.
Inquinanti in calo
Partiamo da un assunto scientifico, ovvero che l’aria di Milano – per restare nella città target dello studio – è in netto miglioramento negli ultimi 50 anni. Tra i tanti studi, citiamo la tesi del 2017 di Stefano Scolari, con relatore l’ing. Giovanni Lonati, nel Corso di Laurea Magistrale in “Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio – Environmental and Land Planning Engineering”, dal titolo “Evoluzione della qualità dell’aria a Milano dagli Anni Cinquanta ad oggi”, i cui i grafici finali riportano il fatto che dal 1977 a oggi praticamente tutti gli inquinanti dell’aria, nel capoluogo lombardo, sono significativamente diminuiti, ozono a parte. Questo è dovuto a tanti fattori ma, restando nell’ambito automobilistico, è in estrema sintesi dovuto alla progressiva diminuzione delle emissioni da parte del parco auto. Non è che le auto non inquinino, certo, ma sicuramente molto, molto meno delle Euro 0 a benzina rossa di 50 anni fa.

Per cui oggi, quando si parla di Città 30, le emissioni sono un aspetto veramente secondario e gli aumenti ipotizzati dallo studio – ribadiamo, teorico – del MIT sono praticamente irrilevanti: +1,8 per cento per la CO2 e +2,7 per cento per le PM. Numeri non certo dirimenti.
È che le ragioni fondanti del concetto di Città 30 – attuato in Europa in decine di città, dalle grandi capitali ai piccoli centri – hanno la propria ragione d’essere in un altro principio, ovvero quello di migliorare l’ambiente (ovvero la città) in cui ci si muove. Un principio che solo marginalmente, visti i dati sugli inquinanti, ha a che fare con le emissioni, e che rimarrebbe una necessità anche se tutte le auto circolanti fossero elettriche, quindi a emissioni zero eccezion fatta per il particolato (non secondario) di gomme e freni.
Il problema, insomma, sono le auto, la velocità a cui vanno e lo spazio che occupano – anzi fagocitano – in ambito urbano, non certo quanto inquinano. Lo spiega bene, tra gli altri, il sempre preciso architetto Matteo Dondè, che nei suoi infiniti incontri pubblici dal titolo “Diamo strada alle persone” dimostra con esempi concreti come le auto si prendano la maggior parte dello spazio urbano, relegando pedoni e ciclisti in tantissimi casi a coesistere – malissimo, come sappiamo – su ciclopedonali raffazzonate cui è dedicato pochissimo spazio.
Problemi: spazio e sicurezza
L’obiettivo delle Città 30, quindi, è innanzitutto quello di ribilanciare lo spazio urbano tra le diverse utenze (pedoni, biciclette, mezzi a motore), in modo da migliorarne la coesistenza. E per “coesistenza” intendiamo soprattutto “sicurezza”, perché la ragione per cui oggi in Italia si va poco in bicicletta (come dimostra uno dei tanti studi di Shimano sul tema) è principalmente per la paura di essere investiti, e questo accade sia per la mancanza di spazi dedicati – leggi piste e corsie ciclabili – sia per l’elevata velocità dei mezzi a motore, e di qui il limite a 30 km/h.
L’introduzione di tale limite – questo è incontrovertibilmente vero in tutti gli studi seri sul tema – riduce significativamente l’incidentalità in proporzione alle biciclette circolanti, ma soprattutto dà alle persone un “ambiente” più sicuro in cui muoversi. Ecco perché un primo risultato delle Città 30 è quello di portare più biciclette sulle strade (noto il recente caso di Parigi), cosa che può portare a più incidenti in termini assoluti ma non relativi. Inoltre, la moderazione della velocità rende tali incidenti meno gravi, obiettivo importantissimo. Esemplificando, una situazione con 10 incidenti lievi è migliore di una con 1 incidente mortale.
Quindi questo è il tema e questa la discussione che andrebbe portata avanti e approfondita, non certo fare le pulci ai numeri sbandierando aumenti – ribadiamo, teorici – delle emissioni o dei tempi di percorrenza, che sempre nello studio del MIT su Milano sono quantificati nello scenario medio in dimenticabili 34 secondi, quando stiamo per ore e ore nel traffico congestionato.
Se però si vogliono approfondire anche gli studi sulle Città 30, tra i tanti citiamo quello del maggio 2024 di George Yannis e Eva Michelaraki, del Politecnico di Atene, effettuato sui dati – stavolta sì reali – prima e dopo di 40 città europee, riassumibili come segue: -37 per cento di morti, -38 per cento di feriti, -18 per cento di emissioni, -7 per cento di consumi, -2,5 dB d’inquinamento acustico.
La fonte, in questo caso, è questa: https://www.mdpi.com/2071-1050/16/11/4382
Nel caso trovaste qualcuno che dà in numeri, sul tema, potete provare a rispondere con questi.
Da ciclista per scelta (dal 2008 ho rinunciato ad auto e moto e mi muovo solamente in bici o a piedi ed uso i mezzi pubblici per lunghi spostamenti) vi seguo su facebook e leggo molti vostri articoli. Anche in questo caso, spiegazione estremamente chiara e documentata, grazie!