Pogacar non è tecnicamente imbattibile. Ma quasi.
Quest’anno ha perso solo contro Van der Poel – un altro fenomeno come lui – e contro Skjelmose, in una giornata in cui tutti gli astri si sono allineati a favore del danese.
Arrivare con Pogacar nelle fasi decisive di una corsa è come portare il miglior velocista in volata: sai già che hai perso. Con la differenza che il velocista non devi portarlo all’ultimo chilometro. Pogacar, agli ultimi quaranta.

E gli atri? Timore e rassegnazione
Guardando come ha corso il resto del gruppo alla Liegi Bastogne Liegi, viene da pensare che tutti si siano semplicemente rassegnati. Hanno corso come se lui non esistesse, come se il primo posto fosse già assegnato. E da un certo punto di vista è anche una scelta logica: seguirlo nel momento dell’attacco è deleterio. Quello che manca, secondo me, è qualcosa di più. Una tattica studiata, un colpo di genio architettato da una squadra intera.
Perché l’unico modo per battere Pogacar oggi è coalizzarsi. Bisogna provarci da lontano, logorare i suoi gregari e lasciarlo da solo. E poi, sì, attaccare, ma non uno contro uno: sarebbe sempre perdente contro questo extraterrestre. Serve una squadra forte, consapevole, con più corridori pronti a giocarsi la vittoria.
Mi viene in mente la Gewiss-Ballan degli anni ‘90, quando il “marziano” si chiamava Miguel Indurain.
Un poker di assi che sfidava l’imbattibile. Difficile, difficilissimo, soprattutto contro uno che da solo guadagna terreno prima contro quattro inseguitori — e che quattro! — e poi ancora sul gruppo intero.
Ma almeno, allora, si vedeva il tentativo. Qui invece nemmeno quello.

Bravo Tadej… ma così che noia!
Dopo aver visto la Liegi, resta una certa delusione. Avrei voluto assistere a una di quelle strategie folli che probabilmente non avrebbero cambiato il finale, con la solita vittoria di Pogacar, certo. Ma almeno mi sarei incollato allo schermo, sperando che un’azione coraggiosa, magari lanciata in un punto improbabile, mettesse in crisi il dominatore. E invece niente. Persino la Liegi, con questo Pogi, rischia di diventare noiosa. Se non fosse stato per il grandissimo secondo posto, conquistato con intelligenza e grinta da Giulio Ciccone.
Mi viene da pensare che stiamo vivendo un’epoca di ciclismo estremamente individualista. Dove nessuno sembra disposto a sacrificarsi davvero per un compagno. Dove i ruoli sono assegnati in modo quasi ossessivo, come abbiamo già visto nella figuraccia della Visma alla Dwars door Vlaanderen. Un ciclismo dove l’estro non conta più: comanda chi ha più watt, non chi sa organizzare una battaglia.
Bene per il più forte, che domina praticamente ovunque e su qualsiasi percorso. Un po’ meno bene per noi spettatori, che rischiamo di guardare le gare solo chiedendoci: “Oggi qualcuno riuscirà a batterlo?”