15 apr 2020 – C’è un problema di cultura e lo sapevamo già. Ma oggi la bicicletta è l’alternativa indispensabile dichiarata da tanti e snobbata dai più. Un po’ come il telelavoro insomma. Quanti ne parlavano fino all’emergenza coronavirus?
Sì, sulla carta tutto bellissimo, il telelavoro, internet che permette di avere gli uffici direttamente a casa. Ci facevano pure le pubblicità. Poi alle otto di mattina si comincia, tutti nello stesso ufficio e chiedete scusa se avete perduto la metro.
Insomma, tutto bello ma la pratica è un’altra cosa.
Poi è arrivato il coronavirus e il mondo è cambiato.
In peggio, perché siamo tutti in trappola.
In meglio, perché, improvvisamente, abbiamo scoperto che le alternative alla nostra abitudine possono esserci.
Non copriranno tutte le possibilità, ma anche solo una parte è (molto) meglio di niente.
Così in questa famigerata “Fase 2” su cui si sta fantasticando ancora, più che porre basi concrete che per molti versi sembrano ancora premature in molte parti d’Italia, bisogna iniziare a immaginare.
Sono giorni che ci martellano sul “sarà diverso” e concetti come “distanza sociale” dovranno continuare a fare parte della nostra vita.
Che vuol dire questo?
Che la normalità, almeno come la conoscevamo fino a metà febbraio nella maggior parte d’Italia, non tornerà. Ma a questo punto potremo fare in modo che quella normalità, quando sarà, quando il virus sarà scomparso e quando ci sarà un vaccino che ci darà la sicurezza totale, potrà essere anche meglio di quella che abbiamo dimenticato.
In apertura, una scena del film di fantascienza “The time Machine” (2002), il 2030 viene immaginato così: solo biciclette.
La normalità aumentata
Ecco, ci piace chiamarla così. È quel momento in cui lentamente – su questo non ci sono dubbi – arriveremo a poter fare la vita esattamente come prima dell’epidemia ma con un “plus” che sarà dato da alcune buone abitudini che, si spera, sapremo mantenere.
In questo enorme “esperimento” sociale che stiamo vivendo molti uffici hanno toccato con mano come il lavoro da casa sia fattibile. Di più: hanno iniziato ad affrontarne le problematiche anche al di là della fattibilità della cosa (strumenti e postazione adeguata, spazio riservato). Si è scoperta, ad esempio, la possibilità di fare orari diversi, assieme alla necessità di avere comunque una regola nel lavoro. Anche gli uffici aperti al pubblico si sono dovuti attrezzare per l’accesso online, così come il pubblico si è “informatizzato” per risolvere tante cose direttamente da casa e scoprendo che computer, tablet e cellulari possono essere molto di più di strumenti di svago.
Con la “nuova normalità” molte di queste abitudini rimarranno e le eccezioni (risolvere pratiche burocratiche andando “sul posto”) saranno certamente meno, saranno un’eccezione, appunto, non la normalità.
Una nuova mobilità
Più o meno dalla rivoluzione industriale gli orari di lavoro iniziano quasi tutti allo stesso momento. Qualche giorno fa Giuseppe Sala, sindaco di Milano, ha parlato di un’ipotesi si spostamento degli orari di lavoro e di apertura delle scuole al fine, un domani, di ridurre le possibilità di avere persone tutte insieme nello stesso posto e alla stessa ora. Ci saranno problemi da risolvere di ordine pratico (genitori che lavorano, figli che entrano a scuola più tardi, tanto per fare un esempio), comunque con soluzioni che possono essere trovate, ma l’idea di “spalmare” il traffico su ore della giornata in cui le strade sono più scorrevoli può portare a una fluidificazione notevole.
In più, appunto, molti lavoratori potrebbero lavorare da casa, almeno per parte del loro orario, riducendo gli spostamenti in maniera drastica. Chi lavora seduto a una scrivania può farlo tranquillamente da casa. E la digitalizzazione dei documenti e degli archivi (anche questo un campo visto con troppa sufficienza fino ad ora) può essere un ulteriore passo avanti in questo senso.
È un cambio di abitudini di cui si parla da tanto e mai iniziato perché va fatto tutti insieme per poterne apprezzare i risultati. Quel che ci sta imponendo la pandemia, nella tragedia, è proprio questo, sfruttiamone la necessità per farne virtù.
Il ruolo chiave della bicicletta
Sulla mobilità ciclistica c’è ancora da lavorare però. Gli spostamenti pendolari, sin dall’inizio della pandemia, hanno portato molti lavoratori dei servizi essenziali, a spostarsi in maniera individuale piuttosto che con i mezzi pubblici (considerati, a buon motivo, possibili tramiti di contagio). Per molti la scelta è ricaduta sul mezzo privato: l’automobile, per altri è stata una riscoperta della bicicletta. All’inizio delle limitazioni, prima della chiusura totale (se così si può chiamare) molti negozi ciclistici di città hanno visto aumentare le richieste di assistenza a biciclette che diventavano mezzo di trasporto. In città chi rinunciava a bus e metropolitane spesso ricorreva ai pedali.
Questo, purtroppo, è un segnale che il nostro governo ha sottovalutato e non è stato in grado di cogliere. Nella successiva chiusura definitiva ha calato la ghigliottina sulla mobilità ciclistica tradendo una visione molto miope e riduttiva della bicicletta solo come uso sportivo. Bastava guardare poco oltre confine per rendersi conto dell’errore. Il concetto di bikeconomy è ancora lontano per troppi versi.
A sottolineare la sottovalutazione è stato, proprio pochi giorni fa, l’Ancma, associazione di settore, che ha scritto – direttamente dal suo presidente, Paolo Magri – al Presidente del Consiglio. La bicicletta è una soluzione, non un problema. Anche la chiusura delle ciclabili cittadine ha tradito l’impressione di non aver capito proprio niente dell’opportunità che si presentava (piuttosto, occorre usarle correttamente). E articoli che inneggiano a un ritorno dell’auto privata come mezzo di spostamento privilegiato nel prossimo futuro fanno pensare male: signori, possiamo spalmare il traffico su orari diversi, renderlo più fluido, ma le strade sono sempre quelle, soprattutto rimangono gli stessi i posti auto una volta giunti a destinazione. Spingere all’uso dell’auto al posto dei mezzi pubblici significa inneggiare non all’uscita dall’immobilità, ma all’intasamento delle strade!
In Cina, a quanto riportano le cronache del ritorno alla normalità, è stata registrata una riduzione dell’utilizzo del trasporto pubblico di circa il cinquanta per cento. Avvenisse lo stesso da noi, nel ritorno alla normalità, ci troveremmo bloccati completamente nel giorno stesso della riapertura: e non è una previsione campata in aria, ne abbiamo già le prove al di fuori del nostro Paese.
Una mobilità leggera non può che essere la soluzione. Anche per lasciare spazio a chi del mezzo a motore, non può farne a meno, ma per esigenza, non per comodità.
Salute in bicicletta
E lo sport? Per ora dovrà essere individuale e con le giuste distanze (attenzione: in bicicletta si ampliano, ne abbiamo parlato qui), ma nemmeno questo, ameno come attività per tenersi in salute e in forma deve essere trascurato. È provato che chi fa attività fisica sta “meglio” e migliora anche le difese immunitarie. Guai a vietarlo. Poi si potrà parlare anche di manifestazioni sportive.
Siamo ancora lontani
I fatti, purtroppo, anche oggi ci dicono che siamo ancora lontani da una presa di coscienza di questo tipo. Chi ripara biciclette, quindi utile alla filiera delle attività necessarie, visto l’utilizzo come mezzo di trasporto, si trova a combattere con una burocrazia che va svegliata assolutamente.
Nei giorni scorsi abbiamo registrato tantissimi download (migliaia) della domanda da presentare alla prefettura per poter mantenere attiva l’attività di riparatore di biciclette. Molti meccanici si sono attrezzati anche per fare servizio di ritiro e consegna a domicilio. Eppure ci stanno segnalando troppi casi di rifiuto, da parte di diverse prefetture, alle domande richieste. Un rifiuto che è culturale e territoriale (maggiormente in posti abitualmente poco ciclistici per tradizione).
Pensare che la bicicletta sia solo un mezzo di svago è un concetto troppo vecchio.
Non ce lo possiamo più permettere.
Guido P. Rubino