30 set 2019 – Questo articolo avevamo cominciato a scriverlo subito, dopo il Mondiale. Ma ci vogliono un po’ di ore per riordinare le idee. Rileggere gli appunti e aggiungere quelli che del momento.
Permetteteci il primo complimento: a Davide Cassani.
Dopo anni di critiche, medaglie o no, ha dimostrato di saper costruire una nazionale affiatata e perfetta, che si è saputa gestire senza radioline, da uomini e da campioni. Come quelli che sanno prendere le decisioni giuste nel momento giusto. Bene così.
Eh sì, perché torniamo un attimo alla mattina della corsa. L’Italia era una nazionale di seconda fila. C’erano Van Der Poel, Alaphilippe, Evenepoel pure e poi Sagan che guai a sottovalutarlo (e infatti è arrivato lì, quinto, con un’azione che aveva già meditato, e se non ci fossero stati quei quattro davanti…)
E invece gli Azzurri li hanno messi tutti nel sacco, senza correre da protagonisti e uscendo fuori al momento giusto. Anche la Spagna, con Valverde in testa, era superiore all’Italia nelle chiacchiere di partenza. Un lavoro impeccabile.
Già, erano anni che non si vedeva una nazionale italiana girare così alla perfezione.
Gli Azzurri non sono entrati in quella prima fuga con Roglic e Quintana. Hanno giudicato che non sarebbe andata all’arrivo, quindi perché sprecare energie? Nemmeno avrebbero dovuto farsi carico di chiudere sui fuggitivi. C’erano altre nazioni titolate, no?
Allora meglio stare dietro a risparmiare quanto più si poteva.
Moscon si è mosso al momento giusto, quando la corsa iniziava a entrare nel vivo. Trentin fermo sul favorito Van Der Poel e pronto sulla sua ruota al primo scatto. Fuga perfetta, quasi facile se non fosse stato per la giornata da tregenda di freddo e pioggia (e tutt’altro che a spasso, visto che nella fuga iniziale i nomi erano già importanti).
Tutto perfetto e un campanello d’allarme. A vedere Van Der Poel spegnersi la luce così, all’improvviso, forse doveva far scattare un’allerta anche negli altri favoriti, Trentin in testa, a quel punto.
Le altre nazionali erano annullate, sparite, per ritiri, sfortuna e fatica (vedi Belgio e Spagna, anche la Francia perdeva i pezzi e Alaphilippe non si è mai visto brillare). Ci viene in mente ancora quell’aggettivo: “perfetto”.
Col senno di poi Matteo Trentin si mangerà forse le mani per aver fatto rientrare Pedersen quando questi stava perdendo le ruote in salita. Oppure maledirà di aver rallentato tanto prima di partire, così in mezzo alla strada.
Oppure, come gli auguriamo, se ne farà presto una ragione (come ha già dichiarato a caldo, ammesso che ci credesse davvero). Ieri ha vinto quello più forte, che se era lì non era per caso e non era nemmeno uno qualsiasi. Giovane con tanto talento che ci auguriamo di veder sventolare con orgoglio la maglia nei prossimi mesi. A Trentin è mancata la forza, dopo oltre 260 chilometri fatti in quel modo ci sta, forse ha peccato di troppa sicurezza?
È andata così.
La fortuna ha girato le spalle riprendendosi quel che ha concesso nel rocambolesco finale degli Under 23.
Intanto ci portiamo a casa una nazionale adulta, matura e perfetta anche se le pedine non erano le più pregiate in partenza. In quanti dovranno fare ammenda a Cassani? Il suo progetto è cresciuto lentamente. Prima di pensare ai campioni il nostro CT ha badato agli uomini. Ed è riuscito a mettere insieme una squadra perfetta. Perché il ciclismo è uno sport individuale, ma quando diventa di squadra è ancora più bello.
L’unico rammarico è dalla parte femminile. Eravamo abituati alle nazionali di Salvoldi che facevano sempre bella figura e spesso salvavano la faccia di tutta la spedizione. Stavolta si torna a casa a bocca asciutta da quel lato. Peccato e ci può stare. Purché non sia segno di altro, ché di nuvole nere ce n’era abbastanza in Yorkshire. Speriamo di averle lasciate lì.
Di sicuro l’UCI, così precisa a misurare i millimetri delle biciclette e i calzini dei corridori, dovrà fare un punto importante della situazione su quanto è successo in questa settimana iridata dove si è vista tanta pioggia e poco arcobaleno.
Guido P. Rubino