24 ago 2018 – Dario Pegoretti era quello che si metteva da una parte a osservare. Lo chiamavano protagonista ma a lui questo ruolo non piaceva del tutto. Ne andava fiero, ma preferiva starsene per conto suo, a osservare da fuori.
Curioso mettere un punto e tirare una riga sotto gli appunti di Dario Pegoretti. La sua cartella è una delle più colorate nell’archivio di chi segue le biciclette. Pegoretti, quello nato con l’acciaio e che, proprio con l’acciaio, ha fatto la storia della bicicletta, rilanciando un materiale come l’acciaio e unendolo a uno stile che lo ha fatto più moderno che mai. Chi oserebbe definire come “vecchia” una bicicletta di Dario Pegoretti?
Ad attirare delle sue biciclette erano diventati i colori. Si andava a trovarlo pensando a “chissà cosa si sarà inventato ora”, riferendosi ai colori. Poi meglio non dirglielo perché a lui questa cosa dei colori perché “dico la verità: me rompe un po’ i cojoni. Preferirei che prima di tutto fosse apprezzata la funzionalità di un telaio”.
Parola di Pegoretti e c’era da credergli. Poi i colori c’erano pure ed erano la sua passione. Ma prima di tutto il materiale e come lo sapeva rendere lui.
Il rapporto con l’acciaio
“L’acciaio parla, è sincero – ripeteva – se lo senti ha un odore inconfondibile ed è un materiale vivo. D’inverno ha un odore diverso che d’estate. Col caldo lo tocchi con le mani sudate e lui fa la ruggine. È un materiale sincero e devi rispettarlo”.
Come dargli torto.
Pegoretti l’acciaio ha cominciato a lavorarlo quando per fare i telai non c’era altro. Negli anni Settanta, fresco di maturità, è andato a Verona, ufficialmente per continuare gli studi, ma è qui che incontra Luigino Milani, professione: telaista conto terzi. Dario pedalava pure, neanche pianissimo, ma ben presto scopre che sulle biciclette è meglio metterci le mani per fare telai che non i piedi per spingere sui pedali. Inizia piano, qualche soldo in tasca che fa comodo, ma poi ci prende gusto e di lavoro ce n’è tanto perché c’è da fare i telai per tanti marchi.
Tubi saldobrasati, con congiunzioni: un lavoro lungo che quando Pegoretti inizia a vedere quei telai che al posto della congiunzione presentano un cordone particolare si incuriosisce e vuole provare. È la saldatura a Tig che Pegoretti confessò che ci mise pure un po’ a capire di cose si trattasse (non c’era Google che “basta schiacciar un botòn…”) ma poi riuscì a convincere Milani a comprare una macchina per questa saldatura. Lo convinse spiegandogli la velocità di lavorazione.
Stile Pegoretti
Il marchio Pegoretti, così come lo consociamo oggi, nasce negli anni Novanta. Nel 1990 muore Luigino Milani (che intanto era diventato suo suocero) e Dario capisce che deve proseguire da solo. Pegoretti fa il terzista fino al 1996, poi capisce che i nuovi terzisti sono gli orientali, ma diventa un “lavoro senza cultura” e senza soddisfazione. Nel 1997 Pegoretti torna in Trentino. Buoni contatti e l’esordio Oltreoceano. Gli Americani apprezzano i suoi telai al punto che nel 2008 viene premiato come miglior telaista al NAHBS (North American Handmade Bicycle Show).
Dario fa i suoi conti e costruisce telai per “biciclette efficienti”. Ai suoi telai dà un valore che non necessariamente rispecchia il prezzo finale. “Cosa vado a dare a uno di una certa età un telaio per le prestazioni di un ventenne: magari gli faccio pure risparmiare qualcosa e ho un telaio perfetto per il mio cliente. Solo che il mercato ha abituato tutti diversamente. E quando gli spiego le cose finisce che mi guardano con sospetto”.
Per non parlare di quelli che arrivano con le specifiche del telaio da realizzare. Quante discussioni per il buon Pegoretti: “Il telaio lo faccio io e so come va fatto. Se mi dicono delle misure che non sono d’accordo e poi si trovano male che si fa?”.
Poi c’è l’aspetto estetico, che Pegoretti ha sempre considerato secondario, ma poi alla fine “se una cosa va fatta, è meglio che sia fatta bella”. Nella sua curiosità alcune idee vennero osservando riviste femminili. E allora preparare telai è diventato, oltre che usare il cannello, anche ricerca grafica. E come per il tig Dario non si è tirato indietro usando stencil e plotter per arrivare alle sue grafiche uniche e ricercate. E pazienza se qualcuno compra io suoi telai solo perché “sono belli”. Va bene anche così, è lo stile Pegoretti fatto sempre con le sue mani quello.
Ci metteva tutto sé nei telai, Pegoretti. Anche le cose meno belle, come il cancro di cui si ammalò nel 2007 e che diventò la grafica “Catch the Spider” – Ciapa el ragno, traduceva lui.
Il telaista moderno
Pegoretti si confrontava di continuo con il suo pubblico. Difficile definirlo il suo pubblico: non è fatto solo dai possessori di una bicicletta col suo nome. Ci sono anche quelli che una sua bici non se la possono permettere ma sono affascinati dall’acciaio. Ci sono giovani che provano a costruire telai e sono stati da lui per imparare, appassionati di meccanica e anche di grafica (ebbene sì) con cui Dario si confrontava spesso sui social. E da bravo maestro qual era ogni tanto non risparmiava una bacchettata contro chi pensava di aver capito tutto prendendo una scorciatoia.
Poi si fermava e spiegava pure. Uno spasso leggerlo nel suo dialetto che spesso riportava pari pari.
Ci diventava matto lui.
Ma sapeva parlare con l’acciaio e piegarlo per fare i telai più belli. Ha saputo traghettare l’acciaio dalla storia alla modernità.
Ci mancheranno le sue battute. E anche le sue biciclette.
Guido P. Rubino