Carlo Simonelli
Io, finora, ho utilzzato a questo scòpo De Filippo: ogni volta che penso di aver scritto qualcosa di buono, rileggo la descrizione della scena iniziale di *Filumena Marturano*:
Non ha un aspetto grossolano, Filomena, ma non può nascondere la sua origine plebea: non lo vorrebbe nemmeno
e torno immediatamente con i piedi per terra.
Da adesso in poi, però, specie quando mi capiterà di scrivere di ciclismo e ciclisti, terrò a freno la mia superbia con uno di questi venticinque articoli che Dino Buzzati scrisse nell’estate del 1949, al séguito del Giro d’Italia.
Per onestà intellettuale, devo confessare che non sono obiettivo, riguardo Buzzati, perché è stato il mio autore preferito in età post-puberale, quando avevo tanti ormoni in circolo e nessuna occasione di esternalizzarne lo sfruttamento.
D’altro canto, proprio a causa di questa grande passione giovanile, crescendo, avevo evitato di leggere altre cose scritte da lui, per il timore di trovarle deludenti, ma mi sbagliavo.
Buzzati è un autore eccezionale: da buon giornalista, riesce a scrivere per un mese di qualcosa che conosce solo vagamente:
Per un complesso di circostanze probabilmente legate ai capricci del destino e che sarebbe ormai vano recriminare, colui che scrive oggi, cronista al seguito del Giro d’Italia, non ha mai visto una corsa ciclistica su strada.
Da buon letterato, riesce a rendere ciò che vede e che vive una metafora dell’esistenza:
Guardateli, mentre pedalano, pedalano tra campi, colline e selve. Essi sono pellegrini in cammino verso una città lontanissima che non raggiungeranno mai: simboleggiando in carne ed ossa, come in un quadro di pittore antico, la incomprensibile avventura della vita.
È come se, uno stesso musicista, riuscisse a essere un eccellente jazzista e, allo stesso tempo, un grande compositore di musica classica.
Hemingway avrebbe fatto qualcosa di simile due anni dopo, nel 1951, con *Il vecchio e il mare* ma, nel suo caso, il libro era arrivato diversi anni dopo l’articolo pubblicato sul Toronto Star; nel caso di Buzzati, invece, il resoconto giornalistico e quello letterario/metafisico coincidono, come quando descrive i sogni dei gregarii nella notte che precede la prima tappa:
Come è facile sognare, questa notte, sulla grande nave illuminata. Perché accontentarsi di una tappa? Perché non portare il vantaggio a un paio d’ore? E perché non prolungare il miracolo fino all’ultimo traguardo? Media del giro, 44 all’ora. Un giorno e mezzo di distacco dal secondo. Coppi demente, Bartali chiuso in un convento. Tanto, cosa costa? Arrovesciato sulla cuccetta, sorride, vittorioso e vendicato, colui che mai arriverà per primo, il “travet” delle strade, lo schiavo fedele, l’umilissimo.
o quando, più semplicemente, parla dei pedali:
I pedali, ecco la croce. Mai e poi mai saranno contenti: quando uno è su, il gemello è in basso e ciascuno vuol far sempre come l’altro, così continuano a corrersi dietro e non si raggiungeranno mai e poi mai.
Il Giro del 1949 fu quello in cui Coppi si impose definitivamente su Bartali, battendolo proprio sul suo terreno, le “serpentine tremende dell’Izoard”, nella tappa da Cuneo a Pinerolo.
Buzzati è lì, a constatare il prodigio:
Per anni e anni – ce ne rendemmo conto – si sarebbe parlato a non finire di questo fatterello che non pareva di per sé niente di speciale: solamente un uomo in bicicletta che si allontanava dai suoi compagni di cammino.
e a paragonare lo scontro fra i due campioni a un dramma omerico:
Quando oggi, su per le terribili strade dell’Izoard, vedemmo Bartali che da solo inseguiva a rabbiose pedalate, tutto lordo di fango, gli angoli della bocca piegati in giù per la sofferenza dell’anima e del corpo – e Coppi era già passato da un pezzo, ormai stava arrampicando su per le estreme balze del valico – allora rinacque in noi, dopo trent’anni, un sentimento mai dimenticato. Trent’anni fa, vogliamo dire, quando noi si seppe che Ettore era stato ucciso da Achille.
Come fra Coppi e Bartali sull’Izoard, c’è un distacco incolmabile fra Buzzati e i suoi “inseguitori”; lo mostrano molto chiaramente i tre resoconti dell’inviato Ciro Verratti, aggiunti in appendice per compensare le tre tappe mancanti dalla cronaca di Buzzati (il Corriere della Sera, il Lunedì, non usciva).
Verratti è un giornalista, racconta quello che vede nella maniera migliore che può, come una buona macchina fotografica:
Bartali sulle montagne di Francia ha disputato una grande corsa, ha dimostrato di essere un campione, ma purtroppo ha trovato in Coppi il suo maestro. Ci sembra quindi azzardato parlare di rivincita o sperare in un rovesciamento di posizioni, perché Gino, campione intramontabile, meglio di così non può fare e Coppi ha fatto meglio di lui. (…) Tra lui e Bartali oggi c’è un distacco, ma anche tra Bartali e gli altri c’è un distacco. Sono il primo e il secondo e l’uno e l’altro costituiscono l’orgoglio dell’Italia sportiva.
Ma il massimo di lirismo che può raggiungere è:
Naturalmente le folle sportive che delirano, preferiscono le romantiche avventure ai borghesi sbadigli, ma non tutti i giorni della vita possono essere avventurosi e romantici.
Buzzati, come direbbe il filosofo Cochran, *it’s something else*.
Scheda del libro
Buzzati, Dino.
Dino Buzzati al Giro d’Italia
1981 – Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
Ebook ISBN 9788852043505