3 feb 2017 – Mentre nella vecchia Europa le corse languono e soffrono, schiacciate da un calendario internazionale che allarga i confini e sacrifica la storia, ci sono eventi che fanno discutere e pensare.
Il baricentro del ciclismo si sta spostando verso oriente (più Medio Oriente a dire il vero)?
Sembra così e dopo la nascita di squadre come il Team Bahrain, e la UAE Abu Dhabi (che ha salvato per i capelli il progetto della Lampre cinese – sponsor intanto ritirato) fanno discutere le corse che certo non sono una novità. L’ultimo mondiale surreale di Doha – salvato da uno strepitoso Sagan – ha fatto discutere anche a livello di incontri di cultura di mondi che sembrano a volte troppo distanti (ricordate le povere atlete del Kuwait in calzamaglia e cappuccio sui capelli nel caldo asfissiante? Ne avevamo parlato qui – cliccare). Di recente ci sono state smentite circa le limitazioni culturali che avrebbero imposto comportamenti controllati su certi considerati “troppo occidentali”. La cultura di chi ospita va rispettata e ci mancherebbe.
Oggi fa discutere e quasi sorridere – se non fosse un bel problema – l’annullamento della quarta tappa del Dubai Tour. Già nella frazione di ieri c’erano stati non pochi problemi di vento forte (vedere foto d’apertura). Oggi gli organizzatori, dopo aver prima scelto un cambio di percorso, hanno definitivamente concluso con l’annullamento della tappa perché il meteo non prometteva nulla di buono. Una tempesta di sabbia in bicicletta rischia di essere peggio di una bufera di neve e allora tutti fermi nella tappa dal profilo altimetrico più interessante.
I commenti da sala stampa sono curiosi e farebbero sorridere pure: “è saltato il tappone con tre salite sui 400 metri”, “ora bisogna avvisare il pubblico lungo la strada, sarà dura” e il definitivo “vanno a monte gli affari per i camper che vendono le salamelle sul percorso… ah no, lì niente salamelle”.
Da sorridere, appunto, se non si pensasse, subito dopo, alle corse che in Italia stanno morendo per mancanza di visibilità e campioni, portati altrove da convenienze immediate che rischiano di essere miopi sulla lunga distanza.
Un ciclismo soffocato da interessi trasversali che fa delle partenze all’estero una norma e non più un’eccezione e tesse trame che lasciano a casa i corridori italiani e fanno morire le squadre tricolori (sì, ci sono anche altre cause, ovviamente) si troverà sempre di più a parlare di corridori stranieri nelle corse italiane raccontate da quotidiani italiani che avranno, quindi, meno riscontro anche di vendite. Il conto, prima o poi, rischia di arrivare salato. Salvo prima o poi, tagliare i rami secchi che non rendono all’azienda. Siamo pessimisti forse, ma alternative a questo pensiero non se ne vedono troppe all’orizzonte. E non sono solo le nubi di una tempesta di sabbia a preoccupare.
Attendiamo smentite dai fatti.
Guido P. Rubino