È stata una Parigi Roubaix così perfetta e spettacolare che quasi quasi viene voglia di lasciarla in autunno per sempre. No, non lo diciamo perché ha vinto un italiano dopo la bellezza di 22 anni (l’ultimo era stato Tafi), ma perché, alla luce dei fatti, ci sono tantissime convergenze favorevoli. Poi c’è stata anche la “fortuna”, intesa come insieme di fattori agonistici che ha portato tre esordienti nella classica delle pietre a entrare per primi nel velodromo storico. Ci si è messo anche il tempo che in autunno è facilmente di pioggia e fango rendendo ancora più democratico il ciclismo che già lo è di suo: ha fatto dello stesso colore tutte le maglie dei partecipanti. Sono giunti al traguardo color fango a rendere ancora più epica l’impresa.
Fin qui è racconto, c’è molto di più a dire che la data autunnale potrebbe essere una scelta tutt’altro che fuori luogo. Lo sottolinea, ad esempio, The Outher Line, che mette in evidenza come la nuova data ha permesso a molti più corridori di arrivare in forma perfetta per la gara del pavé, trovandosi al di fuori dei programmi di preparazione che portano ai Grandi Giri e che, inevitabilmente, per alcuni corridori si ripercuotono sullo stato di forma primaverile.
Peraltro, a poca distanza dal Mondiale le gare sono spesso di altissimo livello da parte dei partecipanti alla corsa iridata.
Questa Roubaix, inoltre – continua ancora The Outher Line – è stata l’edizione della corsa più seguita di sempre sulla TV fiamminga. Questi risultati positivi involontari della riprogrammazione forzata a causa del Covid (in primavera non si era potuta disputare perché gli ospedali di zona erano in crisi per la pandemia) ha portato a ragionare sull’ottimizzazione dell’impatto di ogni corsa. Si potrebbe, anzi, ragionare gara per gara in una riprogrammazione che ne massimizzi l’impatto sportivo e mediatico
6 ott 2021 – Riproduzione riservata – Cyclinside (GPR)