25 ago 2020 – Non credo che le proposte di Van Emden siano attuabili – o per lo meno non tutte – ma mi fa piacere vedere che finalmente qualcuno sta pensando alla sicurezza.
In questo senso il ciclismo da sempre si nasconde dietro ad un dito. Le proposte sulla sicurezza non nascono nemmeno perché vengono subito tacciate con il classico “viene praticato su strada, la sicurezza non può esistere”. Un po’ come veniva sempre risposto in Formula 1 a Jacky Stewart – grande fautore della sicurezza in pista – negli anni ’70 quando chiedeva sicurezza in pista: “andiamo a 300 all’ora, la sicurezza non esiste”. Eppure oggi ci sono le vie di fuga e le auto non picchiano più contro i muretti a bordo pista, non vengono investiti gli spettatori e hanno mille sistemi di sicurezza, compatibilmente con la velocità elevata che sviluppano.
Van Emden propone regole che in realtà esistono già ma non vengono applicate. Il controllo del percorso dovrebbe essere soggetto al giudizio dell’UCI, che però non interviene mai, non solo negli arrivi in discesa del Giro di Polonia, ma nemmeno negli arrivi in curva del Giro di Svizzera o nei rettilinei in Francia dove i corridori zigzagano fra rotonde e spartitraffico a meno di un chilometro dall’arrivo.
Nonostante tutto una maggiore sicurezza in gruppo non va ricercata nei percorsi come potrebbe essere facile pensare, ma nella situazione “sociale” all’interno del gruppo. Il primo punto (che approvo in pieno, perché ripropone una mia vecchia battaglia personale) proposto da Van Emden è l’abolizione delle radio. Ci sono direttori sportivi che parlano continuamente con i corridori senza un secondo di interruzione per tutti gli ultimi 10 chilometri della gara, cercando di spostare i membri del team come fossero pedine nelle loro mani. Ricordo chiaramente situazioni in finali di gara dove cercavo di parlare ad un corridore e lui non poteva sentirmi perché aveva la testa inondata di parole dall’ammiraglia. Questo crea stress e ancora più tensioni nel finale di corsa, oltre che snaturare le capacità tattiche dei corridori.
Il punto fondamentale però secondo me è quello denunciato da Peter Sagan già un paio di anni fa quando disse che non c’è più rispetto in gruppo e che chiunque – velocisti e non – si buttano nella volata in cerca di fortuna. Questa situazione nasce dal modo in cui le squadre trattano i corridori al rinnovo del contratto: il vecchio lavoro di gregariato, l’uomo-squadra, non conta più nulla. Nel rinnovo del contratto vengono presi in considerazione solamente i punti e le vittorie.
Per questo ho criticato gli arrivi troppo facili. Esiste una nuova conformazione del gruppo, differente da quella che abbiamo visto fino al 2010 circa, e urge una risposta. Se tutti vogliono fare la volata, la volata deve essere più impegnativa. Non sarebbe difficile: un esempio è il Giro del Portogallo, dove la metà degli arrivi di tappe pianeggianti sono su strappi o leggere salite. Ma a questo tavolo si devono sedere corridori, organizzatori, UCI e squadre. E deve essere un tavolo rotondo, dove tutti parlano sullo stesso piano, perché purtroppo nel ciclismo i corridori sono sempre su di un piano ben al di sotto e stentano a rendersene conto.
Stefano Boggia (https://www.daccordicycles.com/it/)
Basterebbe aumentare il diametro minimo dei copertoni/tubolari e vedi che cadrebbero molto meno…Per fare un esempio, le mtb non cadono tanto facilmente…Si potrebbe anche aumentare il peso minimo delle bici…D’accordissimo sul divieto delle radiolina e gli arrivi sempre in leggera salita per ulteriore sicurezza…Comunque aumentando il peso delle bici ed il diametro dei tubolari, le bici dovrebbero essere più stabili e la velocità dovrebbe diminuire…