Samuele Zoncarato della Bardiani-CSF Faizané e Barbara Guarischi del Team Movistar: sono stati due stradisti “puri” a mettere per primi il nome nella storia del campionato italiano “ufficiale” di gravel biking.
E questo in fondo già di per sé dice tanto in questa disciplina che oggettivamente affonda le sue radici culturali più nel off road che nel bitume. Ad Argenta, in provincia di Ferrara, lo scorso 18 settembre 2022 è andata infatti in scena la prima edizione dei campionati Italiani di gravel biking sotto l’egida della F.C.I, la Federazione Ciclistica Italiana.
Regolamentare agonisticamente il gravel e poi ufficializzarlo con un formato competitivo era un qualcosa atteso da molti (ma non da tutti) coloro che praticano o che gravitano nell’orbita della nuova disciplina a metà strada tra il ciclocross e la strada, tra la strada e la mountain bike.
“Il gravel è il fenomeno dei nostri anni“, sentiamo dire da parecchio tempo, “per questo è giusto e doveroso che lo si regolamenti e lo si codifichi anche dal punto di vista agonistico“.
Ineccepibile; ed è per questo che la “prima” ufficiale di Argenta è stato un ottimo banco di prova per sperimentare il formato, per testare il regolamento, e perché no anche per aggiustare il tiro per una disciplina che oggettivamente è ancora ai primi passi, che se vogliamo è nelle stesse condizioni di come si trovava il mountain biking a fine anni Ottanta. Non trovate?
Noi di Cyclinside ad Argenta siamo stati, abbiamo anche partecipato tra gli amatori e all’indomani di questa prima ci permettiamo di fare qualche considerazione su come è stato impostato l’evento. Lo facciamo giusto tre settimane prima del via del primo campionato del Mondo Gravel sotto l’egida Uci (si svolgerà l’8 e il 9 ottobre prossimi con partenza da Vicenza e arrivo a Cittadella), quello che – almeno a giudicare da quel che si legge nel sito della manifestazione e nel regolamento – sarà competizione che avrà molti elementi in comune con la rassegna tricolore appena andata in archivio.
Tricolore per stradisti
Impossibile negarlo: quello di Argenta è stato un “italiano” gravel perfetto per gli atleti che provenivano dal mondo “road”, piuttosto che “off-road”. La conferma di questo viene non solo dall’estrazione atletica dei primi a tagliare il traguardo, ma anche dall’assenza pressoché totale di elementi tecnici, di porzioni di percorso che potessero in qualche modo mettere alla prova le abilità tecniche dei corridori al via.
Sappiamo bene che è difficile negare la matrice fuoristardistica del gravel biking, ma sappiamo anche che nel momento in cui codifichi agonisticamente il genere tu – Uci piuttosto che Federazione nazionale che sia – non puoi far propendere le caratteristiche della gara verso la strada o il fuoristrada, ma dovresti piuttosto trovare una giusta mediazione tecnica, come è appunto nelle caratteristiche di fatto del mezzo e del riding del gravel biking. Certo è che quello visto ad Argenta era decisamente un percorso da stradisti – e per di più stradisti passisti – con caratteristiche del fondo e altimetria tutt’altro che miste, visto che nei 120 chilometri di gara non c’era un metro di salita o di discesa, e tantomeno il benché minimo passaggio tecnico per mettere un minimo alla prova le abilità di guida.
Ma sappiamo anche che il percorso lo definisce anche e soprattutto il territorio che ti ospita; per questo era evidentemente difficile aspettarsi salite o discese quando il teatro di gara è stato la (splendida) area del Delta del Po. È stata una prima, appunto. E magari è lecito aspettarsi che la sede dell’ “italiano” 2023 sia non diciamo in montagna, ma quanto meno in una collocazione che abbia una orografia un po’ più “movimentata”.
Certo è, che con caratteristiche di percorso come quelle di Argenta, è stato logico – e giusto – vedere al via atleti con pedali e scarpe da strada e non da fuoristrada; è stato giusto e logico vedere un bel po’ di coperture da 32 o 34 millimetri da ciclocross; e ancora è stato giusto e logico vedere atleti professionisti che sulla gravel (o spesso su una bici da ciclocross, piuttosto che su una bici endurance con coperture tassellate) erano saliti per la prima volta il giorno stesso della gara o forse tre giorni prima.
E questo – permetteteci di dirlo forte – non è un bello spettacolo reso a questo nuovo genere che – seppur camaleontico e difficile da codificare rigidamente dal punto di vista tecnico – siamo soliti chiamare “gravel biking”.
Le biciclette ammesse
«Sarà consentito l’uso di qualsiasi tipo di bicicletta. Le e-bike non sono ammesse. I manubri possono essere di qualsiasi forma, ma devono essere realizzati in un unico pezzo, non sono consentite barends o estensioni (manubri da triathlon e qualsiasi altro sistema di estensione del manubrio sono vietati). L’uso di un casco rigido è obbligatorio». Questo il laconico articolo che in queste prime competizioni “ufficiali” di gravel biking regolamento i mezzi ammessi al via.
Ora, anche in questo questo caso è assolutamente doveroso dare alle Istituzioni o Federazioni preposte il giusto tempo e modo per prendere il tiro piuttosto che per aggiustarlo, ma è evidente che una norma così sintetica quanto meno stride con le mille norme e direttive che in sede Uci regolamentano l’utilizzo dei materiali nelle altre discipline (prima di tutto quelle stradistiche). Si potrebbe ad esempio cominciare da una sezione minima a una massima di copertura consentita, oppure parlare di tolleranza coperture garantita dai telai. Certo è che acconsentire il via a “qualsiasi tipo di bicicletta”, anche questa è indicazione a dir poco generalistica…
L’assistenza tecnica
Ad Argenta i punti di assistenza tecnica dislocati lungo i 120 chilometri di percorso erano ben sei; sei punti nei quali gli atleti potevano trovare il proprio staff pronto a fare rifornimento o anche a dare la propria assistenza in caso di incidente meccanico o in caso di foratura oppure di cambio bici. In pratica, esattamente la stessa ratio che regolamenta le gare di ciclocross, con la differenza che in questo caso la durata di gara era ben oltre i sessanta minuti del ciclopratismo. Se a tutto questo sommi le caratteristiche altimetriche di cui abbiamo detto, non era difficile scambiare l’ “italiano” andato in scena ad Argenta per una gara di CX o di XC.
L’alternativa che ci sentiamo di proporre? Abolire l’assistenza nel gravel agonistico, non tanto per il gusto sadico di far soffrire gli atleti, ma appunto per caratterizzare il gravel agonistico e differenziato dalle discipline a questa più simili (mountain biking e ciclocross in primis).
La maggior parte delle tantissime competizione gravel che di sputano ormai da anni in varie parti del mondo hanno questa caratteristica peculiare e distintiva; ed è esattamente questo formato che ispirava il primo gravel biking che è stato importato – sei o sette anni fa – dagli Usa con “gare” che si chiamavano Dirty Kanza o Trans-Iowa solo per citare le più famose. La caratteristica peculiare di queste ultime è l’essere “unsuppoerted”, ovvero senza assistenza. Sì, è vero, codificare una regola di questo tipo per le competizioni gravel sotto l’egida federale potrebbe allontanare molti racer dai nastri di partenza (ad esempio tanti di quelli che si sono presentati al via domenica), ma sul versante opposto pensate a quanti agonisti di diversa natura e matrice potrebbe avvicinare?
La distanza
No, non siamo dicendo di assimilare le gare “ufficiali” di gravel alle tante unsupported che si disputano nel mondo; stiamo solo pensando che slegarle di più dal formato delle discipline agonistiche “classiche” porterebbe a caratterizzare meglio la disciplina, appunto a differenziarla da tutte le altre.
In questo senso, legato all’aspetto “assistenza” è anche l’aspetto “distanza” delle manifestazioni: i regolamenti di gare gravel “ufficiali” oggi parlando di distanze comprese tra 50 e 200 chilometri; a nostro avviso potrebbe essere poco per chi in bicicletta gravel corre ad alto livello – oppure per professione. Il range per i professionisti si potrebbe in questo senso aumentare a 150-300 chilometri, ovvero delle distanze impegnativi che di certo non avvicinano i chilometraggi monstre che fanno più al caso di quello che più che gravel è ultracycling; e quest’ultimo deve rimanere un altro mondo, lo rimarchiamo.
Prof e amatori
Ineccepibile è stata la scelta degli organizzatori dell'”italiano” di Argenta di inserire nella stessa giornata la partenza delle categorie Open (maschile e femminile) con tutte le fasce amatoriali.
È un po’ il formato dei grandi eventi di marathon mtb, che funziona anche come trait-d’union tra mondo professionistico e amatoriale.
In realtà ad Argenta i circa 180 atleti al via in totale (sì, considerando che c’erano anche gli amatori non erano molti, ma per una “prima” è comunque un discreto risultato) hanno preso il via scagliati di solo quattro minuti dalle rispettive griglie (prima gli Uomini Open, poi le Donne Open, poi gli amatori), e per di più i vari percorsi riservati alle diverse categorie avevano porzioni in parte in comune: il risultato è stato che c’è stato un po’ di caos, sia per i professionisti che si sono trovati a “doppiare” gli amatori, ma soprattutto per lo svolgimento della prova donne, che si è mischiata non poco con quella dei più agguerriti tra gli amatori, con qualche inevitabile alterazione dello sviluppo tattico.
La nostra modesta indicazione, è quella per cui, almeno nelle prove per l’assegnazione dei titoli ufficiali, le competizioni gravel delle varie categorie possano vivere separatamente (ad esempio in due giorni), o quantomeno che le partenze vengano scaglionate di più nel tempo. Questo soprattutto nel caso di percorsi veloci e poveri di salita come è stato quello di questo primo “Italiano”.
19 set 2022 – Riproduzione riservata – Cyclinside