“Fuori la pistola! Tirate fuori la pistola, per Dio!”, il brigadiere dovette alzare la voce e farsi largo a manate, tra la folla. C’era, nel mezzo, un giovanotto vestito da ciclista, mingherlino e un po’ impaurito e a fargli scudo un uomo ben più robusto, con lo sguardo imperturbabile, da sfida: erano Giuanìn Meazzo e lo zio Antonio, suo primo tifoso, accompagnatore e difensore dalla risse di fine gara. Come quella che era venuta fuori in Valle Olona, quel giorno.
La guerra era finita da poco, lasciando nelle province italiane macerie dentro e fuori dalle coscienze, tanta fame, ma anche tanta voglia di ricominciare a gioire, applaudire, pedalare e vincere: il ciclismo era la rappresentazione perfetta di quegli anni, tutta fatica e salite, ma anche con tanta voglia di vento in faccia. Si organizzavano diverse gare dilettantistiche, anche nel Varesotto. E Giovanni Meazzo, da Alessandria, era spesso tra i protagonisti, anche perché aveva lo zio Antonio che abitava in zona, sul Lago Maggiore. Era un corridore sveglio, Meazzìn (come lo chiamava Cavanna, il massaggiatore cieco di Coppi): non era un drago fisicamente, ma era molto tenace e scaltro. Sapeva leggere la corsa, la interpretava bene ed era veloce, nei finali di gare era una bestia nera di molti atleti più quotati di lui.
In Valle Olona, quel giorno, c’erano tante grandi promesse del ciclismo locale: uno, in particolare, era destinato al professionismo, era il più acclamato, un vero e proprio idolo per giovani e vecchi tifosi che, come spesso accadeva, erano tutt’altro che democratici. La sportività non era contemplata, in certe arene ciclistiche: questo già nell’epoca dei pionieri. E anche nel dopoguerra, gli animi s’infiammavano per i propri campioni, ma per gli avversari non c’era pietà ai bordi delle strade.
In quella gara, Giovanni Meazzo si presentò in ottima forma e nell’azione decisiva si fece trovare pronto: ad attaccare per primo fu proprio il più atteso, l’idolo locale, ma lui rispose, restandogli saldamente in scia. La vittoria sarebbe stata una questione tra loro due, insomma: «Nei chilometri finali, sentivo la gente che m’insultava, me ne diceva di tutti i colori. Nelle strettoie e in qualche curva mi era arrivato anche qualche scappellotto. Mi gridavano “succhiaruote!” Il mio avversario era più potente, sulla carta, io non dovevo spendere troppe energie. Qualche cambio glielo davo, ma senza esagerare e, per questo, lo vedevo innervosito, per niente sicuro della sua forza».
Giuanìn non era il favorito, ma sul traguardo sorprese il suo avversario, vinse e, dopo il traguardo, apriti cielo, scoppiò un gran tumulto. I tifosi locali erano imbufaliti, strattonavano, sputavano, menavano le mani anche addosso agli organizzatori. Tra la folla, però, si fece largo lo zio Antonio, estrasse una pistola e sparò in aria, creando il vuoto attorno a sé e al Meazzìn. Era stato partigiano, lo zio Antonio, e come molti altri, col cavolo che consegnò l’arma al termine della guerra. Il vincitore riuscì a salvarsi dalla folla, ma il suo difensore finì in caserma. «E a toglierlo dai guai dovette intervenire nientemeno che Antonio Greppi, allora sindaco di Milano, come lui partigiano e antifascista e concittadino di Angera».
La vicenda si risolse, ma il Meazzìn tornò ancora a correre in zona, nonostante gli animi sempre molto accesi a bordo strada. Si ritrovò di nuovo in fuga con l’idolo di casa, ma la volta dopo si accordò con l’avversario: «Quanto vuoi per startene buono in volata?» gli chiese il suo avversario. Alla fine si accordarono per una cifra dignitosa, i due avversari si ritrovarono di nuovo soli al comando, ma lo sprint lo vinse l’idolo locale. «Io fui secondo, come concordato. La sera, fui ospitato in un albergo vicino al traguardo, a Gallarate: apparteneva alla famiglia della fidanzata del mio avversario. Era carina e maliziosa, quella ragazza… e andò a finire, come doveva andare a finire quella notte, ma nessuno lo seppe mai». Capitava, ogni tanto, di rivedere in corsa quel suo avversario e, spesso, il Meazzìn lo salutava agitando la mano, che non era aperta, ma faceva le corna. Quell’altro non capiva, lui ridacchiava e pedalava.
6 dic 2021 – Riproduzione riservata – Cyclinside