13 mag 2019 – In certe tappe chi deve commentare inizia ad augurarsi che capiti qualcosa oltre alla monotonia. Non serve arrivare a pensar male. Nel ciclismo la cosa che gli spettatori si augurano di più è la fatica. Quando in bicicletta càpita la fatica lo spettacolo segue a ruota.
Solo che ci sono tappe che sono fatte (si può dire?) per fare meno fatica e mica te la puoi prendere coi corridori. Hanno ancora 3000 chilometri davanti e se possono risparmiare fanno bene, per loro. Meno per noi.
Quando succede poco o niente capita che si invochi il vento per aggrapparsi ai ventagli. I ventagli sì che sarebbero uno spettacolo, ma i corridori non ci provano proprio. Sì, fanno un po’ fatica i gregari che hanno il compito di tenere i capitani davanti. Dovesse interrompersi la monotonia all’improvviso.
In realtà c’è uno che non si risparmia, è un giapponese in versione belga o olandese, fate voi. Si centoquattordici chilometri di fuga al vento, manco fosse sul Mare del Nord.
Al mare ci arriva ma è quello Toscano, nel finale a Orbetello, quando ormai c’è da lasciare strada a chi vuole la corsa. Il suo lavoro l’ha fatto onesto e preciso, riscattando l’altro giapponese finito fuori tempo massimo al prologo e che questo Giro lo ricorderà più per i voli in aereo per andare e tornare a casa che per i chilometri percorsi.
Fino a 10 chilometri all’arrivo il cuneo del gruppo è rovesciato, con la parte piatta sul fronte anteriore a prendere il vento. Quando si viaggia così affiancati vuol dire che il passo è da chiacchierata, infatti i corridori parlano, si cercano, a scanso di equivoci qualcuno sorride.
Poi le tessere del puzzle colorato iniziano a comporre un disegno sensato. Quei pixel buttati lì si vedono finalmente dall’alto (nella tappa di ieri niente elicotteri) e cominciano a comporsi in disegni riconoscibili.
Per qualche chilometro rimane ancora quel muro piatto di corridori sulla stessa linea, ma poi si apre il gas e la testa del gruppo è una stazione di treni affiancati, almeno finché qualcuno non inizia a spingere ancora di più, il cuneo punta in avanti ed è il momento tanto atteso, finalmente c’è da raccontare di più che non gli aneddoti.
Dalla noia sale l’adrenalina assieme alla velocità. Nel gruppo si urla e si scalcia per come possono scalciare i ciclisti: coi gomiti. È il preludio di un arrivo è un po’ complicato, curve, controcurve e materassi. Quando ci sono tanti materassi diventa roba da funamboli e certe manovre fanno dimenticare il sonno di prima. Ma è tutto perfetto, sono tutti lì. Per Viviani è la volta buona per dipingere di ciclamino quella maglia tricolore che italiana non appare. Nella volata dei fuochi d’artificio non c’è tedesco che tenga, nemmeno Gaviria che pure si trova col vento in faccia troppo forte.
Viviani esce e parte bene verso il traguardo, attento a prendere il tempo giusto col vento contrario. Si allarga e parte ancora, si allarga di scatto e di stizza che già ieri poteva vincere ma per un pelo non falcia Moschetti, lì dietro. Poi alza le braccia finalmente.
Belle, bello tutto. Quasi.
La giuria ha visto e riguarda tutto. C’è una sbandata di troppo e Viviani dalla gioia passa all’espressione più cupa che gli abbiamo mai visto: declassato al 73° posto, ultimo del suo gruppo. Non è molto d’accordo. E forse più della mancata vittoria gli bruciano quei 50 punti di penalizzazione per la maglia ciclamino. Difficile prenderla così.
Non è d’accordo nemmeno Gaviria che è già andato a farsi la doccia e si scopre vincitore sotto la doccia. Per premiarlo devono telefonare al team: ce lo mandate un attimo che gli dobbiamo dire una cosa?
Lui indietro torna perché il protocollo lo vuole ma si rende protagonista di una premiazione surreale. Sguardo basso e vittoria che dice non sua. Lo ribadisce pure: per lui ha vinto Viviani, punto.
A Viviani non si riesce e chiedere niente, ma tutto sommato neanche serve e farlo parlare a caldo sarebbe solo una punizione sadica che non merita.
A Moschetti, invece, nessuno chiede niente. Lui lo conoscono poco e nessuno lo cerca per ora. Il ciclismo dello spettacolo fa audience coi nomi importanti, dopo le parole di Viviani (che pure si è scusato per il contatto) le sue avrebbero completato la cornice.
Altro che noia.
Ma è il Giro d’Italia che è così. Qualcosa da dire ce l’ha sempre. A dire li vero l’avrebbe avuta anche con la vittoria di Viviani, saremmo stati qui a dirvi quanto era bella la maglia ciclamino italiana. Ma gli appunti mentali ce li teniamo in serbo un altro po’. Magari ci serviranno.
Guido P. Rubino