25 lug 2019 – Al di là delle corbellerie scritte in un articolo vomitato in un momento di evidente annebbiamento mentale, quello che stupisce nel pezzo apparso su una testata che, fino a oggi, appariva più che rispettabile, è un mettere in evidenza un problema per poi arrivare alla soluzione… sbagliata.
Nell’articolo apparso su RollingStone.it qualche giorno fa, al di là dei toni acchiappaclick sulla questione (ma ormai ci siamo abituati: parlare di odio va a pescare gli onanisti da tastiera) si sottoscrive una sottocultura che una testata giornalistica non può permettersi e, attenzione, non è un andare controcorrente per mettere in evidenza degli errori (che pure sarebbe un esercizio di stile, avendone).
La logica dell’articolo è che a causa dei ciclisti troppo indisciplinati e strafottenti (pure sottoscrivibile: la bicicletta non è un lasciapassare di illegalità) che pretendono di pedalare su strade dove ormai (!) il traffico automobilistico ha vinto per quantità e dimensioni, sarebbe giusto evitare proprio l’uso della bicicletta e con buona pace del codice della strada che sarebbe legge.
L’articolo si definisce “politicamente scorretto”, che diventa il vanto con cui si giustifica una stupidaggine: pensare di poter scrivere qualsiasi cosa . No, certe cose non si possono scrivere, nemmeno in una testata che gioca ad andare contro corrente. Perché il risultato è pessimo: si alimenta odio. E questo non è giustificabile. Di imbecilli che pensano che le strade siano solo per le (loro) automobili ne abbiamo già troppi in giro.
Prendiamocela con chi non rispetta le regole invece. Anche con i molti ciclisti indisciplinati, ovviamente. Ma alimentare odio è pericoloso e non giustificabile. Nemmeno se si voleva “solo” fare i fighi scrivendo un articolo provocatorio.
Provocatorio è altro, così è solo stupido: di odio ce n’è già abbastanza in giro da non alimentarlo giocandoci su. Perché chi è pronto a odiare non coglie la provocazione e il controsenso, ma solo l’appoggio alle sue idee.
Che poi sui social è un attimo. Ne avevamo parlato qui:
Il ciclista è sempre colpevole nella scala dei valori social
Guido P. Rubino