di Guido P. Rubino
29 mag 2021 – I corridori si accorgono del pubblico? A volte ti passano così vicino che potresti toccarli (non fatelo, mai, per carità!) e ci parli, gli urli, li inciti. Loro dritti, concentrati in avanti, a volte ti guardano, altre no. Si saranno accorti che ci sei? E gli altri?
I corridori lo sentono il pubblico, e lo vedono anche, certo. Ne sono testimoni tanti gesti, molti e anche qualche schiaffo. Ma non è di questo che volevamo parlare. I corridori sentono il pubblico e molto altro.
Il rumore del pubblico a volte è netto, sembra di sentire le voci e la parole di ognuno, altre volte è ovattato, si distingue appena il nome, anche se è urlato nelle orecchie. C’è la strada, quella striscia scura da conquistare e mettere dietro più in fretta possibile. A volte quella striscia diventa maledetta. Più ne metti dietro e più te ne compare davanti, dritta, storta, che ti guarda in faccia e ti minaccia da sembrare impossibile da seguire.
Alllora il suono diventa ovattato, la fatica ne abbassa il volume, colori che ti corrono vicino, hanno bandiere forse o altro. Ma c’è la strada, solo quella.
Quanto sono lunghe le ore di una tappa. Ve lo siete mai chiesti? La strada porta alla fatica, la fatica alla sofferenza, la sofferenza, alla solitudine, quindi alla riflessione. Da soli anche in mezzo al pubblico che urla. Isolati nella fatica dei pensieri. Per chi è dietro, staccato e vinto, lo fa anche per isolarsi dalla sconfitta. Un modo per esorcizzarla, magari pensa alla vittoria, rischiando di andare ancora più giù. Oppure a un riscatto, da meditare a vendetta.
Il pubblico scompare e poi torna tutto insieme. È il momento del ricordo che permette di mettere a fuoco i dettagli, quelle immagini di cui non ti eri accorto, ma ti hanno portato fino su. Al traguardo.