8 ott 2017 – Il ciclista è coraggioso. Spesso ce ne dimentichiamo a vederli gioiosi – i vincitori delle corse – sull’arrivo. Il coraggio è una qualità che si somma a tante altre. Alla capacità di soffrire prima di tutto.
Che un ciclista sappia soffrire lo diamo per scontato. Senza soffrire in bicicletta nemmeno ti alleni, anche in altri sport, ma in bici di più: è quella sofferenza che porta via la ragione e che arriva a farti dire “chi me l’ha fatto fare” e, tranquilli, è un pensiero che passa nella mente anche dei campioni.
Ma il coraggio è altro. È la capacità di osare dove c’è un pericolo e sapere di affrontarlo senza escluderlo. Per i corridori è cosa normale. Abbiamo parlato più volte, su Cyclinside, di come si affrontano le discese, ma c’è quella componente che è il coraggio che è una caratteristica importante, come la capacità di intuire le curve e capire se dietro c’è una curva stretta o si può lasciare andare la bicicletta.
Il coraggio che ti fa sapere che ogni discesa possa finire come quella del povero Laurens de Plus, corridore che al Lombardia ha fatto un volo pazzesco arrivando lungo e anche di più a una curva e finendo col catapultarsi oltre la protezione. Quando un corridore fa una discesa ne accetta i rischi, tanto più se si sta giocando la corsa. E i rischi fanno parte del mestiere e non puoi che accettarli. Lo stesso vale per Jan Bakelants, finito fuori strada con la bici rimasta appesa al ramo di un albero.
Già, perché il ciclismo si fa su strade normali, dove le protezioni sono pensate per le auto e non certo per chi va su due ruote (anche i motociclisti hanno da ridire su questo in effetti), col risultato che gli organizzatori spesso mettono in sicurezza i punti più pericolosi, ma certo non possono intervenire su centinaia di chilometri di percorso. Eppure i ciclisti vanno giù a tutta, frenano poco e niente e se non vai una volta a bordo strada non ti rendi mica conto di cosa significhi il coraggio.
Provate a stargli dietro. Anzi no.
RC