di Guido P. Rubino
14 mag 2021 – A volte, tra i ritardatari per meriti altrui, c’è il vinto. Quello che non ha fatto il gregario e dovrebbe essere mezz’ora più avanti.
Invece è caduto nella rete. Quella del “gruppetto”. Così i corridori chiamano i ritardatari predestinati, quelli che nelle tappe di fatica ascensionale non hanno speranze e allora aspettano quelle più adatte a loro, salvando la gamba, risparmiando energie.
Li riconosci, i corridori del gruppetto, perché salgono su sereni, parlottando, scherzando, rispondono al pubblico. Nelle tappe di montagna sono quelli vestiti più pesanti che la vittoria, quando li vedi passare, se la sono già giocata quelli più avanti. Oltre alle gambe, salvano la salute.
Il gruppetto è anche talento. Ci si accorda già in partenza, chi lo comanda non ha avuto da madre natura il dono di scalare le montagne, ma quello di sincronizzarsi col tempo: il tempo massimo. Il gruppetto di quelli bravi arriva preciso poco prima del tempo massimo. Ci vuole arte, perché vorrà dire che si sarà risparmiata tutta la benzina possibile per momenti migliori. Arrivare dieci minuti prima, per il gruppetto, significherebbe aver speso energie inutili. In un Giro d’Italia certi lussi si lasciano a chi cura la classifica.
E gli altri?
Gruppetto!
Il gruppetto diventa “la rete” quando raccoglie gli avanzi delle battaglie che scendono giù dal fronte. Cavalieri disarcionati dalla fatica o da uno scherzo tattico. La rete porta tutti all’arrivo, con la calma giusta, non lascia indietro nessuno. Dentro possono finire pesci piccoli o pesci grossi. Li riconosci perché hanno la faccia di quelli che non volevano stare lì, a volte incazzati, a volte scocciati, altre imbarazzati come un nerd in discoteca. Fuori luogo e scuri in volto, preoccupati dei perché che gli chiederanno.
Era così De Marchi all’arrivo di Ascoli, tappa numero sei. Portato su dalla rete, ultimo del gruppetto ma non ultimo di tappa. Dietro altri ancora: il gruppetto di quelli che per un pelo ripartono anche il giorno dopo.