di Guido P. Rubino
In amore, si dice, mai fare paragoni. Sarebbero irrispettosi verso i nuovi compagni e poco eleganti per chi si è lasciato. Il ciclismo, a ben guardare, è una storia d’amore, si parla di passione da parte di chi pratica, ma anche da parte di chi ammira le gesta dei protagonisti del momento.
E dopo il Giro d’Italia c’è stato il Tour de France. È vero, non ci siamo mai sentiti pienamente innamorati del Giro d’Italia 2022, gli è sempre mancato qualcosa, come una bella fidanzata senza passione, possiamo dirlo?
Prima il dubbio dei partecipanti. Ok, non ci sarebbero stati i corridori di vertice assoluto, ma spesso ci siamo goduti un bello spettacolo con i partecipanti che non si sono certo risparmiati. Anzi, questo per il Giro poteva essere pure un plus: i protagonisti, spesso, sono così presi dal risultato finale da infischiarsene dello spettacolo. Calcolano tutto partendo, a ritroso, dal significato economico della corsa; quindi, guai a rischiare e pazienza se si va verso la monotonia, conta il risultato.
È il ciclismo moderno, si diceva, e poi le belle fughe ci hanno fatto vedere corridori all’arrembaggio e giovani, pure qualche impresa. Va bene no?
Poi c’è stato il Tour de France a dirci che no, non va bene per niente e non è solo questione di partecipanti che pure ci ha concesso un gusto un po’ retrò con vecchie glorie alla ribalta (concedetecelo, Nibali e Pozzovivo nei primi dieci ci ha fatto indubbiamente piacere, ma parliamo pur sempre di corridori di 37 e 39 anni che il loro meglio lo hanno probabilmente già dato e se sono arrivati lì è stato per grande bravura e avversari più modesti rispetto ad altri appuntamenti).
Ci siamo anche goduti la tattica della Bora Hansgrohe per un meritatissimo Jay Hindley. E questi corridori non meritano certamente il paragone con un impietoso “cosa avrebbero fatto al Tour”. Ma neanche Carapaz e Landa, tanto per dire.
Poi però vedi il Tour e senti un sapore diverso.
Fino a questo Tour e a qualche anno fa, si parlava di ciclismo moderno fatto di numeri e tecnologia. Di Froome che calcolava quanto poteva fare al massimo in salita e si regolava su quello, con gli altri inesorabilmente dietro. Lo stesso Froome che ci ha regalato anche una perla di iniziativa e tattica proprio al Giro d’Italia. Sprazzi di spettacolo in un ciclismo ipercontrollato.
È bastato un Tour de France, a dire il vero non solo questo del 2022, ma questo è quello che ha segnato la differenza definitiva, per dire che il ciclismo moderno può essere anche altro al di là dei numeri.
Chissà se in ammiraglia erano contenti o meno. Se i protagonisti del Tour hanno fatto di testa loro ignorando i calcoli dei tecnici che probabilmente dicevano di stare più tranquilli. Fatto sta che ci è stato dimostrato, imprese alla mano, che si può correre anche sorridendo allo spettacolo e all’improvvisazione. Anche andando oltre i calcoli e magari pagando.
Abbiamo visto la Jumbo Visma prendere le misure a Pogacar, presentandosi con due capitani per accerchiare lo sloveno super dominatore. Sfiancarlo a rintuzzare gli attacchi di Pogacar per poi essere infilato, definitivamente, da Vingegaard. Tattica già vista forse. Lemond utilizzò così Pensec, suo gregario, per sfiancare definitivamente Chiappucci nel 1990. Sembrava non tornare più quel ciclismo di trent’anni fa. Ora non lo rimpiangiamo più anche al netto della tecnologia che pensavamo ci avesse tolto qualcosa (a noi spettatori). Sì, la Jumbo Visma si è anche ritrovata con il Jolly Van Aert, il deus ex machina a favore dello spettacolo così come al Giro abbiamo avuto Mathieu van der Poel. Avessimo avuto pure l’olandese in forma al Tour sarebbe stato quasi da indigestione di meraviglia.
È questo, ora il ciclismo moderno? Questi ragazzi giovanissimi ne sembrano convinti e proseguono così. Lo stesso Pogacar ha continuato a dare spettacolo anche quando i calcoli avrebbero detto che si poteva ottenere di più con meno impeto.
Soprattutto c’è una novità importante: ci siamo accorti che, al di là delle vittorie, conta affascinare il pubblico con lo spettacolo. Da un punto di vista economico – a voler essere un po’ cinici – conta anche questo e forse pure più di una vittoria.
Chiedete al bar chi sono Van Aert e Van der Poel. Potremmo rimanere stupiti.
25 lug 2022 – Riproduzione riservata – Cyclinside