31 lug 2017 – C’è un intervista che ha rilasciato Felice Gimondi durante il Tour de France. Il campione bergamasco parlava della sua carriera, ma anche della sua testimonianza di ciclismo. Gimondi è sempre stato un campione oltre le ruote, badando all’aspetto umano di uno sport che comunque “ricordiamoci sempre che si tratta di correre in bicicletta, le cose importanti sono tante”.
Gimondi e i giovani e un’affermazione forte lontana mille chilometri, anzi: una carriera, dal modo in cui si interpreta troppo spesso lo sport oggi.
«Dite ai vostri genitori di non venire alle corse, che dovete divertirvi».
L’ha detta col suo tono pacato, Gimondi, ma sapendo bene di lanciare una piccola bomba dall’alto della sua esperienza e anche della sua anzianità. Chi se la sente di contraddire il campione?
Nessuno.
Anche perché ha ragione.
Alla vigilia del Tour de France c’era stato l’episodio clamoroso del quattordicenne positivo, un allievo che ha fallito un controllo antidoping.
Una cosa pazzesca prima ancora che scandalosa, perché il doping in un fisico ancora in via di sviluppo è devastante e molto più nocivo che in un fisico adulto. Riportiamo anche il commento che fece Stefano Bertolotti, bravo giornalista e speaker del Giro d’Italia:
«Ci stupiamo della positività di un bambino di 14 anni quando la figlia di un mio amico, che ha iniziato a correre quest’anno G6 – 11 anni, alla ricerca di una squadra per il prossimo anno (esordiente) si sente rispondere: “Quante gare ha vinto da giovanissima? Zero? Ah no, non la prendiamo…”».
Ecco, in questo commento c’è un po’ di tutto.
Ci sono dirigenti di squadre che fanno fatica e li possiamo pure capire, perché quando si va a fare quel giro faticoso a cercare i soldi per mettere insieme il budget per la squadra di ragazzini la domanda arriva: “che risultati fanno?” E qualcosa bisogna rispondere. Ci sono anche i genitori con la frustrazione di una porta che dà sul divertimento dei figli e che si chiude se non si ottengono i risultati.
Insomma, ci si trova davanti a una scelta. Quella della scorciatoia o quella della professionalità, che dice di far crescere i giovani atleti serenamente, insegnandogli la cultura sportiva prima ancora del risultato a tutti i costi. C’è una generazione di nuovi sportivi da far crescere ed educare. Sportivi che anche quando saranno avanti con gli anni non cercheranno scorciatoie ridicole nello sport perché sapranno già che non avrebbe senso.
«È un ruolo fondamentale quello giocato dalla famiglia – spiega Nicola Cannavina di Palmer officina della bici, squadra che guarda al movimento amatoriale per portare avanti i giovani nelle categorie federali – la famiglia educa allo sport come alla vita di tutti i giorni e i valori devono essere univoci in tutti gli ambiti. È importante avere a che fare sempre con staff di professionisti che non si pieghino alla logica del guadagno immediato».
Difficile da realizzarsi ma è così: occorre partire dal basso e lavorare a tutti i livelli, compresa la famiglia.
Altrimenti ha ragione Gimondi. È meglio che i genitori stiano a casa e lascino fare a professionisti preparati. Questi, però, devono essere professionisti reali e non improvvisati. Altrimenti la cronaca continuerà a deluderci.
Guido P. Rubino