di Lorenzo Arena
15 feb 2021 – Villacidro, Sardegna. Un piccolo paese che ha dato i natali a una persona particolarmente conosciuta nel ciclismo internazionale: Fabio Aru. Villacidro è anche il paese di Elisabetta Curridori, la numero uno del Triathlon nostrano, e tra le migliori al mondo, nelle lunghe distanze. Ma il paesino sardo ha da qualche anno un concittadino in più: il belga Jim Thijs. Jim, in pieno professionismo, decise di specializzarsi nella categoria X-Terra (Off-road triatlon) e negli anni, ha trovato in Villacidro il luogo ideale per i suoi allenamenti e… l’amore, visto che è da anni il compagno di vita di Elisabetta.
Adesso Jim si dedica ormai esclusivamente ad allenare triatleti (This is Thijs Coaching) ma negli anni ha deciso di fare qualcosa per i ragazzi sardi che vogliono cimentarsi nello sport. Sono ormai sei anni che mette la sua passione e conoscenza a disposizione dei bambini. Incuriositi, lo abbiamo raggiunto telefonicamente per fargli qualche domanda.
Intervista a Jim Thijs
Ciao Jim, raccontaci un po’, come funziona la tua ‘scuola’
«Alleno in modo intensivo dieci bambini di differente età. Ho una lista di attesa ma non voglio superare il numero di dieci per poter assicurare una guida di qualità. I genitori mi contattano e chiedo una piccola cifra, simbolica, al mese, giusto per responsabilizzarli. Ci alleniamo insieme per ben 2 ore al giorno, tutti i giorni. Questo vale per la zona di Villacidro dove il gruppo “Tecnobike” offre l’appoggio tecnico-amministrativo. Mentre a Nuoro sono allenatore della squadra triatlon della città (TriNuoro) dove anche li’ abbiamo una quindicina di ragazzini/e, ma vista la lontananza non li vedo ogni giorno e a loro ci pensa il mio collega e amico Ivan Satta».
Interessante, soprattutto il progetto a Villacidro, è un impegno notevole, perché lo fai? Perché non investi sui ragazzini belgi, per esempio?
«Perché qui in Sardegna c’è tantissimo talento, purtroppo ragazzi e ragazze che vogliono emergere nello sport non hanno possibilità, ai “normali” club manca una visione a lungo termine e per questo, quando i ragazzi raggiungono la maggiore età, smettono. A livello fisiologico e psicologico non sono pronti a gareggiare fuori dalla Sardegna. La stessa Elisabetta aveva abdicato il suo sogno perché le motivazioni erano scomparse. In questo modo offro ai ragazzi un modo alternativo e professionale di praticare sport, gli offro la possibilità di investire su loro stessi per un futuro nello sport».
Come vedi il tanto acclamato approccio multidisciplinare?
«Molto importante a mio avviso, se un bambino viene da me e mi dice che vuole fare ciclocross, per esempio, mi sta bene, lo prendo MA si deve allenare anche a correre a piedi e a nuotare, almeno fino ai 16-17 anni».
Atleti italiani e Ciclocross
Ciclocross, nota dolente per l’Italia in queste settimane post-Mondiale. Tu partecipi spesso e volentieri a questo tipo di competizioni e vieni da Overijse, nome che i più attenti appassionati sanno collegare a uno dei Cross con più prestigio, cosa ne pensi di questa debacle annunciata?
«Penso che agli atleti italiani diano troppa importanza al calendario nazionale. I percorsi sono troppo semplici e non paragonabili a quelli del nord Europa. Mancando gli stimoli, i corridori non migliorano più e quando arriva lo scontro con i belgi e olandesi sono dolori. Inoltre penso che ai ragazzini venga permesso di correre troppo a lungo con la MTB nelle gare da cross. Per imparare la tecnica devi farlo da bambino e per farlo devi correre con le gomme giuste: 33mm o 35mm al massimo. Competere con i pneumatici da MTB è troppo facile e crea la falsa sensazione di avere il “nuovo Van der Poel”. Una possibile soluzione sarebbe quella di permettere le MTB ma obbligare i 35mm. Soluzione economica e tecnicamente possibile per le 29 pollici».