Sì dai, possiamo dirlo, siamo abituati bene e stiamo vivendo un ciclismo di lusso. Da un lustro a questa parte i giovani del ciclismo internazionale stanno esplodendo come uno spettacolo di fuochi d’artificio. Da Van Aert a Pogacar, da Van der Poel a Evenepoel. E nel “nostro” Giro d’Italia.
Briciole di ciclismo che entusiasma, in fondo quello di cui ci siamo lamentati per tante tappe è stato un attendismo che fa parte di un ciclismo del passato già raccontato faticosamente. Degli attacchi solo al momento giusto e con certezza di arrivare al traguardo. Almeno da parte dei protagonisti più attesi.
Non basta lo spettacolo delle seconde linee, delle fughe all’arrivo pure entusiasmanti. Hanno il sapore della lotta per la salvezza al campionato di calcio. Si guarda lì se in testa alla classifica non succede niente.
Ma cosa vogliamo dire a due come Thomas e Roglic (37 anni, compiuti durante il Giro il primo, e 33 anni il secondo) se corrono come possono e come sanno?
Sono quei giovani terribili ad aver rivoluzionato il ciclismo con la loro forza e con la loro testa. Quale dei due fattori per primo?
Eravamo rassegnati a un ciclismo calcolato, quello che se hai 100 da spendere decidi coi tuoi strateghi dove investire e il risultato è assicurato. Invece questi, gambe e testa e meno display da osservare, partono così, anche senza senso. A volte arrivano, a volte esplodono, sempre fanno spettacolo e sì, ci hanno abituati bene.
Per cui non era deludente il Giro d’Italia delle prime due settimane, era solo ciclismo classico, imbottigliato nelle tattiche.
Ma al Giro a tenere alta la bandiera dei giovani, maglia bianca in bella esposizione, è il portoghese Almeida. Nessuna tattica d’arrembaggio come altri coetanei, ma mente lucida e freddezza nel gestire la squadra (che sì, ci sono le radioline, ma in quel gracchiare il momento giusto lo decidi quasi sempre tu e guai a sbagliare). Sta crescendo senza gli exploit che sembrano diventati normalità. Ma c’è.
Meno male, il Giro dei giovani si salva.