Ben Healy è stato uno dei protagonisti del Giro d’Italia, ha vinto la tappa di Fossombrone, secondo nella Seregno-Bergamo e molto spesso in fuga. Ma è stato anche uno dei corridori più discussi dal punto di vista tecnico. Abbiamo visto tutti come pedala, qualcuno ci ha fatto battute su, ma certamente la sua posizione in sella non appare delle migliori, manca un po’ di stile insomma.
Ma è possibile che un corridore professionista possa essere messo male in bicicletta? Tanto più uno che vince. Certamente è efficace e allora, viene da chiedersi, cosa potrebbe fare in una situazione ottimale?
Al di là dei dubbi più o meno legittimi, abbiamo voluto approfondire la questione parlandone con un esperto, il “nostro” prof. Luca Bartoli, fondatore di Ergoview ed esperto di fisiologia e di posizionamento in sella con un bagaglio importante di lavoro svolto nel settore.
«Ho visto come pedala irlandese e penso che avrebbe bisogno di una revisione globale che potrebbe migliorargli la condizione e, in definitiva, anche il rendimeto – ha esordito nella nostra intervista».
Capita di vedere anche ciclisti di tutti i giorni che pedalano in maniera non armoniosa, ma viene da pensare che non sia possibile per un corridore di quel livello e, appunto, pure forte.
«In realtà ci sono due problemi con i professionisti – inizia Bartoli – uno è pratico e uno è di come loro si percepiscono.
«È difficile modificare la posizione di un professionista perché qualunque modifica si faccia in un primo momento c’è una sensazione di disagio. E molti questo cambiamento non lo accettano perché gli sembra di peggiorare, invece che stare meglio. Inoltre, si fa fatica a trovare il momento giusto per fare le modifiche perché ci vuole tempo per assimilarle e la stagione non permette molti tempi utili e i corridori hanno stagioni molto ricche di impegni.
«Dobbiamo renderci conto che il nostro organismo funziona che tutto quello che registra come diverso lo presenta come sbagliato. È una funzione di difesa che ha il nostro organismo mette in atto in questo caso ingannandoci. Guarda – prosegue Bartoli – la cosa più sbagliata che si possa fare quando si modifica la posizione a un corridore è chiedergli “come ti senti” subito dopo aver fatto una variazione di assetto. Nessuno risponderà ma “bene” a una domanda del genere. Proprio perché si sta intervenendo su un’abitudine che il corpo si era abituato a percepire come corretta».
Qui entra in ballo anche il rapporto di fiducia che l’atleta deve avere verso chi lo segue.
«Esatto e purtroppo non è una cosa facile. Quando ci si trova al cospetto di un corridore, abituato a pedalare in un certo modo, questi tende a essere diffidente rispetto a modifiche che non gli danno sensazioni subito positive e non sempre si riesce a spiegare correttamente la cosa all’atleta.
«E il fatto che sia un pro’ non vuol dire che sia passato nei migliori laboratori di posizionamento. Più si va avanti, poi, più è difficile intervenire su consolidamenti dovuti all’età avanzata e per questo è molto più facile lavorare con i corridori giovani che con quelli più vecchi. Certi lavori sarebbero da fare con molta attenzione molto tempo prima che un atleta divenga professionista, altrimenti è come intervenire sul tronco di un albero: meglio agire sulla pianta quando è ancora un fuscello».
Ma torniamo e Healy, come vedi la situazione?
«Da come ho potuto osservarlo è chiaro che quando pedala disperda tantissime energie. È un atleta notevole e con tantissima forza ma sarebbe da prendere e rimettere in posizione come si deve. Nel momento in cui le gambe non spingono come si deve ci deve mettere dentro dell’altro, per quello poi si scompone e si aiuta muovendosi col busto, ma così facendo spende molto di più.
«Una situazione che, mi viene da dire, non è ammissibile in un atleta. Poi bisogna capire se ci siano delle deformità tali di cui tenere conto per non rischiare di fare peggio.
«Tuttavia – tiene a precisare Bartoli – bisogna fare attenzione a una cosa: non si deve essere anatomicamente perfetti, ma funzionalmente efficienti. Il concetto di normalità dal punto di vista posturale non esiste più. Si parla di efficienza, ossia la condizione che fa rendere al meglio.
«Se uno ha una gamba più corta di un centimetro e gli metti due millimetri di spessore sotto al piede, avrà la sensazione di essere troppo alto – chiarisce Bartoli – per cui bisogna agire dandosi del tempo, ma è proprio il tempo che rischia di essere poco per un corridore messo male in sella».
In che senso?
«Parto da un esempio che mi sta a cuore. Penso al povero Davide Rebellin. Lui aveva un rapporto incredibile con la bicicletta. Era pignolo da diventare rompiscatole e noioso però vedi? Atleticamente è durato tantissimo e ancora ne avrebbe avuto. Si è mantenuto senza logorare il fisico. Soggetti come Rebellin non hanno situazioni parassite che gli portano via energia, ma Rebellin era anche bravo a dare dei feedback giusti, un po’ come faceva Schumacher con la sua automobile. E nel corpo umano l’unico feedback può farlo l’atleta. Non basta dire “non va”, ma tanto più è bravo a capire cosa non vada, tanto più sarà in grado di rendere al meglio.«Poi chiariamo una cosa – continua a spiegare Bartoli – pedalare storto non potrà mai essere una caratteristica di un atleta, è un problema. Ma mi sono reso conto che spesso alle società importa poco e piuttosto che imbarcarsi in un lavoro complicato si preferisce sfruttare l’atleta per quel che può dare finché riesce, poi lo si sostituisce con un altro. Healy è giovane e c’è tempo per farlo migliorare in questo senso. Spero ne tengano conto».
Concetto chiaro, insomma: Ben Healy ha le potenzialità per fare davvero molto a patto che si intervenga su una situazione che rischia di inficiare, oltre all’efficacia, anche la vita atletica.
C’è altro da aggiungere?
«Sì, fatemi dire un’altra cosa più generale – premette Bartoli – pensa che pedalare è uno dei gesti atletici più suggeriti al mondo per il recupero del benessere dopo problemi di vario tipo perché non sollecita le articolazioni. Ma occorre partire da una cultura di base in questo senso sin da giovani. Alla visita biomeccanica si presenta il padre che va in bicicletta, ma non porta il figlio. Quando sarebbe proprio da ragazzini che si possono fare le correzioni più efficaci per il futuro atletico. Avere la possibilità di correggere una certa situazione in una disciplina che è obbligatoriamente simmetrica può solo portare vantaggi. Se non c’è simmetria c’è un problema».
I corridori appoggiano sempre meno le mani nella parte bassa del manubrio. Perché?