9 ago 2019 – Nei giorni passati ho paragonato sulla mia bacheca Facebook gli incidenti mortali della Formula 1 a quelli del ciclismo, questa domanda è stata girata a Nibali, che ha risposto che i ciclisti sono molto soggetti agli imprevisti a causa dei percorsi non in circuito. Vero. Ma la differenza con l’automobilismo è che loro hanno guardato al più piccolo particolare, mentre noi nel ciclismo ci trasciniamo dietro una mentalità pesante.
Negli ultimi anni è stato fatto pochissimo in tutti i sensi per la sicurezza nelle gare. Il casco obbligatorio, sembra secoli che esista, ma non arriviamo nemmeno a 20 anni. Sì, c’è stata l’introduzione della Var, che però al momento sembra più preoccupata di fare la maestra bacchettona che interessarsi ad evitare pericoli reali con squalifiche e retrocessioni che fanno più rumore che altro.
Nibali dice cose già dette in passato da Sagan: non ci sono più gerarchie in gruppo e tutti vogliono stare davanti, in qualsiasi occasione. L’età media dei corridori è scesa molto. Se negli anni ’90 era raro passare prof prima dei 23 – 24 anni, ora siamo al punto che molti corridori firmano il contratto appena dopo la categoria Junior. Tanti fenomeni, e la gente è contenta di vedere i giovani che non hanno paura di nulla. In realtà il gioco delle squadre è semplice: accaparrarsi corridori giovani a prezzo basso. Se questi dovessero risultare campioni, l’affare è fatto.
Poco importa se lasciano a casa ottimi corridori con qualche anno in più, corretti e utili alla squadra. La ricerca del fenomeno è diventata spasmodica. Forse alla luce di quello che ha fatto Bernal al Tour imporre a tutti una età minima sarebbe ridicolo, ma è altrettanto ridicolo il fatto che questo gruppo sia pieno di Under 23, tutti catalogati come futuri Merckx.
Proprio il Tour de France 2019 ha dimostrato che con dei percorsi diversi si evitano tantissime cadute. Nel 2018 le prime tappe del Tour sono sembrate una sorta di bici-scontro, con almeno due cadute al giorno. Quest’anno con tappe dure non è successo quasi niente. A cavallo degli anni 2000 in realtà avevamo anche imboccato una strada diversa per i percorsi, che doveva essere il futuro ma così non è stato: nelle corse a tappe si proponevano gare dure e brevi, che facevano selezione. Lo stesso Moser aveva spinto a favore delle tappe brevi per aumentare lo spettacolo. Oggi potremmo anche dire che una tappa più corta aiuta a mantenere livelli più alti di lucidità nei corridori. Mentre molte corse in linea erano proposte in circuito, eccezion fatta ovviamente per le Grandi Classiche. I circuiti sono più spettacolari e molto più sicuri, perché i corridori passano sempre nello stesso punto. E non è importante che la gara sia dall’inizio alla fine in circuito, potrebbe anche essere solo la parte finale del percorso.
Tralasciando alcuni problemi di cui abbiamo già parlato fino alla nausea ma che non vengono mai risolti, ovvero la lunghezza delle transenne nei finali di tappa e la presenza di troppe moto in gara, è chiaro comunque che si sta sottovalutando pesantemente il problema sicurezza in gara.
Stefano Boggia (https://www.daccordicycles.com/it/)