Non c’è più dubbio sulle forze in campo. Lo ha dimostrato Vingegaard, all’ultimo scatto del padrone. Una resa significativa, nell’atteggiamento: non ha risposto, si è messo solo del suo passo, più forte possibile ma mai più abbastanza, mentre la maglia gialla guadagnava secondi diventati subito un minuto. Non è poca la differenza e Vingegaard ne ha preso atto. Ormai ci sono da guardare i piazzamenti, perché nel ciclismo contano quelli e occorre tenerne conto.
Pogacar ha quel passo che non molla più, soffia via gli avversari e risucchia i fuggitivi. Prima Carapaz, poi Simon Yates, infine Jorgenson che cercava di portare bottino alle casse di una Visma ormai rassegnata. Passa il cannibale e non può niente nessuno.
Inutile pensare a minuti da recuperare, a crisi da fantascienza. Questa maglia gialla diventa storia.
A scolpire nella roccia il risultato è lo sciogliersi in lacrime di Vingegaard dopo il traguardo. La moglie lo accoglie e lui si lascia andare. Orami non c’è più niente da fare, inutile pensare tattiche, inutile pensare a cedimenti, inutile tutto, non serve più. Il padrone del Tour de France non è più lui. E quanto ci aveva creduto.
La tappa numero 19 del Tour de France è di quelle da mal di testa al pensiero, da mal di gambe a pedalarla, più che nelle altre e andamento da manuale o quasi.

Dimostrazione di compattezza da parte della UAE e gestione intelligente della corsa. Hanno lasciato andare via una fuga senza lasciar esplodere il vantaggio (anche perché davanti, tra gli altri, c’erano Carapaz, Rodriguez, Simon Yates, gente cui non dare troppa confidenza se si ha in mente un’impresa). Davanti anche Jorgenson e Kelderman, compagni di squadra di Vingegaard a sperare l’impossibile. Il piano ci sarebbe pure, ma che vuoi farci se quello è un fenomeno?
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