17 lug 2019 – L’ultima in ordine di tempo si chiama Bmc Urs, dove URS sta per “unrestricted”, ovvero “senza limiti”: parliamo di una gravel bike provvista di un originale carro posteriore, che nella congiunzione tra foderi obliqui e tubo verticale propone due damper, ovvero degli elastomeri, in grado di favorire lo smorzamento delle vibrazioni che il ciclista riceve dal fondo stradale, in particolare quando transita sui terreni accidentati come sono quello tipici del gravel biking.
Meno di un mese fa, una soluzione simile l’aveva licenziata Cannondale, che con la sua Topstone Carbon ha lanciato una gravel che al posto dell’elastomero propone un vero e proprio punto di snodo collocato nel punto di intersezione tra foderi obliqui e tubo verticale, poco sotto il nodo di sella. L’obiettivo? Il medesimo: incrementare la flessibilità del telaio sul piano verticale, la sua capacità di attutire le sconnessioni del terreno e quindi di incrementare il comfort percepito dall’utilizzatore.
Sempre per rimanere in ambito gravel, un’esperienza simile a quella di Cannondale e Bmc l’ha proposta lo scorso anno l’azienda del Colorado Moots, che con la sua Routt YBB ha proposto un’originalissima gravel in titanio provvista anche questa di un elastomero collocato nella zona del monostay, ossia di quella ideale “y” che congiunge foderi obliqui e tubo verticale. Se poi dall’ambito gravel sconfiniamo al segmento delle bici da corsa di tipo “endurance” il discorso si allarga ancora: anche qui possiamo trovare numerosi esempi di bici che ripropongono la particolare soluzione tecnica di un carro posteriore che flette. Sono ascrivibili in questa cerchia la Pinarello Dogma FS e la Wilier Triestina Cento10 Ndr, solo per citare alcune delle più famose.
Su telai del genere forma e materiale del telaio – e in particolare delle tubazioni del retrotreno – sono disegnati in modo da produrre livelli di flessione verticale più o meno marcati, chiaramente percepibili dall’utilizzatore. Volendo andare indietro nel tempo, è esattamente lo stesso concetto che, alla fine dei Novanta, ispirava molte mountain bike cosiddette soft-tail, che in realtà in pochi anni improvvisamente scomparvero. Ma sarà un fuoco di paglia anche in ambito stradistico?
Un sistema di ammortizzazione
In un’era in cui i materiali utilizzati nella telaistica erano più pesanti e le architetture elastiche meno efficienti e più rudimentali rispetto a quelle moderne, le mtb soft-tail consentivano di ottenere un elevato grado di assorbimento dei colpi senza gravare molto sul peso del telaio.
In realtà, quello delle soft-tail è un sistema di ammortizzazione ma non è un vero sistema elastico, visto che il punto di snodo che consente l’escursione è soltanto uno. L’ammortizzazione tende per questo ad essere sempre attiva, nel senso che l’escursione viene innescata sia quando il ciclista riceve i colpi dal fondo stradale, ma anche quando è il ciclista stesso a spingere con forza sul telaio (ad esempio quando si pedala in modo violento, “scalciando” sui pedali).
Fu anche per questo che, sia a causa dei progressi fatti sui materiali – sempre più leggeri – sia per i progressi sulle sospensioni – di tipo inerziale e “intelligente”, ossia che si attivano solo quando la bici riceve un colpo dal terreno – il mondo della mtb ha progressivamente abbandonato la soluzione delle soft-tail a favore di bici bi-ammortizzate diventate sempre più leggere e sempre più performanti.
Da parte loro anche le mountain bike hard-tail nel frattempo erano passate a ruote da 29 pollici ed avevano un telaio in carbonio, che in quanto tali producevano maggiore assorbimento dei colpi e maggiori capacità di flettere verticalmente. Ecco perché suona ancor più strano se, a distanza di venti anni, oggi quel sistema del carro flettente torna in auge, e per di più torna ad esserlo non più sulle mtb, ma sulle bici da corsa.
Soft-tail, l’interpretazione moderna
L’interpretazione moderna di quelle che oggi si configurano come bici da corsa soft-tail è in realtà figlia di tempi e di una situazione tecnologica tutta diversa rispetto al passato. I progressi compiuti nel campo della lavorazione composita consentono oggi al costruttore possibilità amplissime di modulare, definire e personalizzare le caratteristiche elastiche di ogni singola tubazione: in base al tipo di materiale composito che utilizza, in base al suo spessore, all’intreccio dei vari fogli che compongono il tubo e in base alle qualità e alle quantità di resine indurenti, il telaista può assegnare ad ogni tubo capacità diverse di flettere elasticamente in seguito a uno stress subito, di reagire esattamente nella direzione voluta.
È per questo che, telai estremamente confortevoli dal punto di vista della flessibilità verticale, possono essere adeguatamente rigidi lateralmente, proprio perché il movimento che si innesca è solo quello la cui direzione è esattamente contraria al colpo. In un contesto tecnico simile inserire nell’architettura di un telaio un punto di snodo permette al produttore di enfatizzare, esaltandolo, il movimento desiderato, e questo in particolare si percepisce quando il telaio è sottoposto a condizioni di utilizzo severe come possono essere quelle del gravel biking o del ciclismo stradistico su fondi accidentati.
In questo spettro di utilizzo i colpi che riceve il ciclista possono essere anche importanti, ma niente a che vedere con le sollecitazioni del vero mountain biking moderno: questo sì necessita di vere e proprie sospensioni, non certo dei 20 o 30 millimetri di escursione (al massimo) che di solito di trovano sulle bici da corsa soft-tail. Saranno poi le singole necessità del caso a dire quanta e quale capacità di flessione il costruttore dovrà assegnare ai tubi, saranno le singole interpretazioni a dire quale volume e quale design esterno dovranno avere quei tubi e quel telaio nel loro insieme. Tutto questo con un aumento di peso per il telaio che è davvero contenuto, che nella maggior parte dei casi non supera l’etto.
Le soluzioni possibili
La telaistica attuale offre più di una soluzione che dà corpo alle gravel-bike – o alle bici da corsa – con carro posteriore che flette secondo l’impostazione delle soft-tail: nella interpretazione della Cannondale Topstone Carbon l’elemento di snodo è poco sotto il nodo di sella ed è articolato su un perno passante imperniato su dei cuscinetti; quello snodo è il fulcro di un’architettura dove a flettere non è solo il caro posteriore, ma, in sinergia con questo, si muovono – sempre verticalmente – il triangolo principale e il reggisella, per produrre una escursione totale di ben 30 millimetri.
Leggermente diversa la soluzione percorsa da chi segue la strada degli inserti elastomerici che interfacciano il punto di articolazione. Esemplari in questo senso sono i casi di Wilier Triestina e di Pinarello: la prima, con la sua Cento10Ndr e i suoi elastomeri a densità variabile, consente di personalizzare le qualità di ammortizzazione in base al peso e in base alle caratteristiche del percorso. La Pinarello Dogma FS, invece, aggiunge agli elastomeri con durezza variabile una cartuccia idraulica collegata, a sua volta, a una centralina elettronica in grado di “leggere” le asperità del terreno; questo permette di personalizzare il comportamento di quella che è quasi una vera sospensione e soprattutto permette di attivare o disattivare l’escursione a piacimento, annullando così il limite generale che eventualmente possiamo riconoscere ai sistemi elastici delle soft-tail: il loro essere sempre attivi.
Sempre di sistema ad elastomeri graduabili nella densità possiamo parlare a proposito di Bmc, che sulla sua nuova Urs ha mutuato in ambito gravel una tecnologia da anni utilizzata con successo sulle sue mtb hard-tail da competizione.
Sistemi come quelli appena menzionati garantiscono vantaggi percepibili non solo dal punto di vista del comfort, ma anche in termini di trazione e stabilità di guida, perché un carro in grado di assecondare – assorbendolo – un colpo ricevuto dal terreno, è anche un carro che permette alla ruota motrice di “copiare” meglio il terreno, senza farti sobbalzare fastidiosamente su di esso.
La parola al costruttore, Wilier Triestina
La Cento10 Ndr è una bici appartenente al segmento “Racing” di Wilier Triestina; ciononostante utilizza un sistema imperniato su un fulcro, che permette al carro di flettere e di assorbire le vibrazioni, appunto a dimostrazione di come questi sistemi siano adattabili anche a bici dalla deliberata impronta prestazionale:
«Noi la Cento10Ndr la consideriamo un prodotto da corsa – ci spiega Claudio Salomoni, che di Wilier Triestina è product-manager. Il loro sistema di ammortizzazione è proprietario e brevettato, si chiama Actiflex ed a tutti gli effetti ha molti elementi che la assimilano ai link dei veri sistemi di sospensione delle mtb.
«Il sistema è articolato su di una biella oscillante, infulcrata attraverso due viti passanti. Tra i due perni è alloggiato l’elastomero, che consente di controllare l’oscillazione del carro posteriore. A differenza di altri sistemi simili presenti sul mercato la nostra architettura consente di gestire l’oscillazione verticale controllando allo stesso tempo la rigidità laterale, grazie alla struttura e al posizionamento della biella.
Il sistema è progettato affinché l’oscillazione del carro posteriore sia limitata effettivamente solo a questo, senza che l’oscillazione vada a interessare anche il triangolo principale e il reggisella, che sono progettati con forme, sezioni e spessori che assicurano loro la massima fermezza, che per il guidatore si traduce in precisione di guida».
A proposito di forme e spessori, ma con tutte le possibilità di personalizzazione nelle proprietà meccaniche che consente oggi il composito, non era preferibile ricercare questa oscillazione solo investendo sulle forme e spessori dei tubi, senza utilizzare uno snodo?
«No, la tecnologia sui materiali oggi consente eccome di realizzare dei foderi posteriori e orizzontali che flettano quando la bici riceve il colpi, ma la struttura che avremmo ottenuto sarebbe stata poco robusta, la flessione troppo marcata e poco controllabile, con ripercussioni sulla rigidità laterale. Al contrario, proprio la struttura e l’architettura della Actiflex ci ha permesso di unire a questo punto di snodo dei foderi che comunque rimangono molto robusti e solidi, come fossero quelli di una bici da competizione classica. Inoltre, il particolare orientamento delle due viti passanti rende neutro il comportamento della sospensione, cioè il carro rimane fermo quando scatto con forza sui pedali, ma oscilla verticalmente solo quando effettivamente ricevi un colpo dall’asfalto». Che escursione ha il carro della Cento10Ndr? «La flessione è limitata, siamo nell’ordine dei cinque, sei millimetri. Sicuramente laminando i foderi in maniera diversa potremmo ottenere di più, ma per quello che è lo spirito della Cento10Ndr questo discorso non ci interessa, questa non è una gravel bike ma una bici da competizione».
Maurizio Coccia