29 lug 2019 – Ecco le nostre pagelle del Tour de France 2019. Abbiamo preso appunti a tutte le tappe, alzato e abbassato voti. A qualcuno avremmo potuto dare di più, qualcun altro, forse, meritava un po’ meno?
Diteci la vostra se volete. Ma tutto sommato è stato proprio un bel Tour de France. E l’applauso fa a tutti i protagonisti, da quelli che citiamo qui sotto a tutti gli altri che hanno portato, sempre gloriosamente, la bicicletta al traguardo.
Julian Alaphilippe – 10 (ma meriterebbe di più)
Tolti i primi due giorni di dominio Jumbo Visma (la volata di Teunissen e la cronosquadra) e le ultime tre tappe, la maglia gialla è stata cosa sua per buona parte del Tour. L’ha concessa per due tappe al quasi omonimo italiano, Giulio (Ciccone), per poi riprendersela di forza e caparbietà dando anche dimostrazione di tenuta e grande testa. Lo abbiamo visto anche tirare la volata a Viviani, che dire: perfetto al punto da farci pensare che possa essere pure cambiato come caratteristiche. Era diventato così convincente e sicuro, in maglia gialla, da far immaginare decisamente difficile togliergliela.
L’idea, un po’ folle all’inizio, di un corridore non solo da tappe si è andata consolidando nella prima settimana di corsa e si è confermata nella cronometro di Pau dove, sulla carta, era sfavorito rispetto a Thomas e invece ha incrementato pure il vantaggio.
E che dire poi delle altre tappe? La sua tenuta nella prima tappa alpina stava per fare gridare al miracolo. Giusto un attimo prima di rientrare nei ranghi e mollare – ormai clamorosamente – il primato e pure il podio. Col senno di poi diremmo: normale. Ma la sua tenacia ci stava facendo immaginare l’inimmaginabile. Di sicuro ora sappiamo che non è solo un corridore da Classiche.
È anche un bel personaggio, si è comportato da campione in bicicletta e fuori. Quando ha perso la maglia ci siamo risvegliati un po’ tutti da un bel sogno. Da applaudire e basta.
Nel nostro elenco, rigorosamente in ordine alfabetico, ci fa piacere vederlo primo. Senza di lui, questo Tour avrebbe avuto non solo un’altra storia, ma probabilmente sarebbe stato molto più noioso. Gli diamo dieci, ma ci sembra ancora poco.
Fabio Aru – 7 (per l’impegno)
Al Tour è partito senza pretese. Non si pensava nemmeno potesse prenderne parte, invece si è comportato bene nelle gare precedenti (compreso il campionato italiano).
Aveva ripreso le gare al Giro di Svizzera facendo già vedere qualcosa. Si è presentato al Tour sperando che potesse fare qualche bella tappa.
Nel suo partecipare come giovane di belle speranze si è ritrovato anche a essere il miglior italiano in classifica generale. Però più per demerito di altri che per meriti suoi (cui va riconosciuta, senz’altro, la costanza di rendimento). Vista l’operazione subita pochi mesi fa non ci saremmo aspettati di vederlo a questi livelli. È sembrato anche molto sereno e questo promette bene per un bel futuro che meriterebbe davvero.
Romain Bardet 4 (non prende 2 per la maglia a pois)
È partito come predestinato a interrompere il digiuno francese dalla vittoria del Tour (l’ultimo è stato Hinault, nel 1985), per lui è stata una via crucis infinita con distacchi iniziati ad accumulare troppo presto e quindi rapidamente fuori dalla classifica.
Si è salvato, se così si può dire, portando a casa la maglia a pois degli scalatori. E forse gli è andata pure bene con l’accorciamento delle ultime due tappe di montagna. Troppa pressione, troppe aspettative? È stato l’ombra del bel corridore visto anni fa.
Egan Bernal 10 (giovanissimo, sicurissimo, un campione)
Signori: vi presentiamo un campione. Ha vinto il Tour de France dei grandi da Under23. Lui, di anni ne ha appena 22: roba che per cercare uno vincitore della Grand Boucle più giovane di lui bisogna tornare al 1909: altri tempi, altro ciclismo. Ancora più favolosa la sua vittoria di oggi.
La sua forza fisica la sapevamo già: l’avevamo vista l’anno scorso e aveva impressionato. E per uno che probabilmente ha ancora margini di maturazione c’è da davvero da restare a bocca aperta. Mostruoso anche nella tenuta mentale. La situazione in casa Ineos avrebbe giustificato un crollo psicologico. Lui ha agito da campione.
L’unico cedimento, ma che ce lo fa ancora più bello, è stato il suo sciogliersi in lacrime al momento dell’intervista ufficiale con la maglia gialla conquistata. Un ragazzino che ha fatto una cosa enorme.
Il suo ringraziamento anche all’Italia, in italiano, sul podio di Parigi gli ha fatto conquistare altri punti e un altro po’ di tifosi del Bel Paese.
Siamo all’inizio di un campione.
Giulio Ciccone – 8 (si è comportato bene)
Ritrovato al Tour così come lo avevamo lasciato al Giro d’Italia. Bravo, anzi, bravissimo, visto che ha pure agguantato la maglia gialla per due giorni a dispetto di un indiavolato Alaphilippe. Forte, fortissimo, promessa perfetta già messo in scia a Nibali. Forse è troppo presto, ma intanto c’è e sembra sapersi gestire anche molto bene, da corridore maturo a dispetto dei suoi 25 anni ancora da compiere.
Ciccone è uscito di classifica per una caduta, ma non se n’è dannato più di tanto, non era quello il suo obiettivo e si è presentato alle prime salite vere con un distacco da potergli permettere qualche bella fuga.
Thomas De Gendt 7 (meno male che c’è)
Professione: fuggitivo. È uno che ci prende talmente gusto nelle fughe che è stato capace di trasformare una tappa del Tour de France in una classica. E l’ha vinta. È una garanzia per le tappe potenzialmente noiose.
Rohan Dennis 2 (compito in bianco)
Il suo ritiro improvviso e senza apparente motivo, che ha sorpreso anche la Bahrain Merida, la sua squadra, ha avuto, forse, l’unico merito di dare motivo di discussione in una tappa che, a dispetto delle prime due salite pirenaiche, è stata una delle più piatte del Tour de France alla viglia della cronometro di Pau. Ed è proprio in questa cronometro che l’ex detentore del Record dell’Ora avrebbe potuto dire pesantemente la sua, atleticamente parlando. Invece ha detto la sua a voce e nel modo più inaspettato: ritirandosi. Sconcerto della squadra che ha diramato a breve distanza due comunicati che, se possibile, dicevano meno di quel che si sapeva e che si era visto. Imbarazzo dell’entourage del team.
Dopo un Nibali tranquillamente staccato sulle prime asperità (già in polemica per la partecipazione forzata alla corsa), questo ritiro ha evidenziato che in casa Bahrain qualcosa non va per il verso giusto. Per fortuna, alla fine, ci ha messo una pezza lo stesso Nibali.
Caleb Ewan 9 (un velocista costante)
Alla fine è stato il velocista che ha vinto di più: tre tappe conquistate di forza. L’ultima, a Parigi, con una zampata mostruosa: sparato da un cannone dalle retrovie che quasi sbandava pure. Per il piccolo corridore australiano una conferma e una sicurezza. Quest’anno ha mitigato quella sua posizione assurda che assume in volata ed è sembrato ancora più efficace. Le montagne le soffre, come tutti i velocisti, ma forse è quello che le subisce meno.
David Gaudu 7 (una bella promessa)
Quel che Thibaut Pinot ha fatto in questo Tour de France, prima del suo sfortunato ritiro, lo deve alle sue gambe ma anche a questo giovane corridore, ventiduenne, che si è dannato l’anima a tirare il gruppo e a fargli da gregario con una sicurezza e una forza di tutto rispetto. Finito il suo compito lo abbiamo visto fermarsi quasi col piede a terra, sfinito. Dedizione e devozione totali alla causa. Per ora va così e già ci è piaciuto tanto. Prossimamente potrebbe fare grandi cose (ha già vinto il Tour de L’Avenir nel 2016).
Steven Kruijswijk 7 (nonostante il podio…)
La sua squadra è stata più protagonista di lui, nonostante il terzo posto in classifica generale. Posizione meritata per la costanza e grazie anche alla forza della sua squadra. Però non ha mai fatto un’azione da farci sobbalzare. Sembrava sempre lì lì per fare l’azione spettacolare e poi rientrava nei ranghi. Un podio è sempre un ottimo risultato al Tour de France. Con una fiammata sarebbe stato perfetto.
Mikel Landa 6 (potrebbe fare di più)
È uno studente che ha finito gli esami ma non si laurea mai. Ogni volta sembra il momento buono ma non esplode mai. E sì che di belle azioni ne ha pure fatte nel Tour de France 2019. Al punto da sembrare decisamente più forte di Quintana. Però non si è mai concretizzato con forza. Sul più bello è sparito e alla fine non è riuscito a portare a casa nemmeno una tappa (che avrebbe meritato decisamente).
Vincenzo Nibali 7 (non ha mai pensato ala classifica)
È partito un po’ da “oggetto misterioso” a questo Tour de France. Lui non ci voleva venire: dopo il Giro avrebbe puntato volentieri sulla Vuelta, con il giusto recupero. Ma si è adattato a malincuore (e senza nasconderlo) alle decisioni della squadra. Forse anche per questo, quando si è staccato nell’ottava tappa, non è sembrato particolarmente dispiaciuto. Potremmo dire calcolato quasi, visto che si è fatto togliere di ruota da corridori che in salita non dovrebbero neanche vederlo.
Sugello perfetto per un divorzio (dal team Bahrain) annunciato.
Però nelle tappe di montagna è andato spesso in fuga e si faceva vedere. Non ne aveva bisogno: cercava proprio una tappa. L’ha trovata nell’ultima, quella accorciata a meno di 60 chilometri per i problemi del meteo. Ha dimostrato, ancora una volta, di essere un campione a cominciare dalla testa. Poi pure con le gambe, perché vincere in una tappa così corta, con gli altri dietro a giocarsi la classifica finale, è tutt’altro che facile.
Tibaut Pinot 7 (di incoraggiamento)
Quasi invisibile nelle prime tappe, perfetto per chi punta all’ultima settimana, ma pur sempre presente nei momenti difficili. È risorto sul Tourmalet prendendosi la rivincita, di forza, della tappa di Albi dove era rimasto tagliato fuori dai ventagli incassando un minuto e mezzo di distacco. Fosse stato più attento la classifica poteva prendere un’altra piega. Ma è andata così e poi, anzi, ha vinto una tappa spettacolare. È stato tagliato fuori da un problema muscolare tanto banale (per come è capitato) quanto disastroso. Il suo ritiro in lacrime ci resterà come uno dei momenti più toccanti del Tour de France 2019.
Nairo Quintana 6,5 (almeno ha vinto una tappa)
Nella prima parte del Tour il pubblico continuava a chiedersi se fosse in corsa o se non fosse partito al Tour de France 2019. Però era lì, sempre in posizione giusta o quasi.
Al primo esame ha mancato clamorosamente e anche a dispetto della squadra, che ha tirato a tutta con il capitano evidentemente in difficoltà. Il motivo, probabilmente, non lo capiremo mai. In compenso si è rifatto vincendo una bella tappa, anche a dispetto della sua squadra che tirava dietro e ha perso l’occasione per farlo rientrare in classifica. Discorsi col senno di poi, ovviamente, ma la Movistar, ha tratti, ha corso in maniera davvero strana, diciamo così.
Peter Sagan 8 (fa spettacolo anche quando non vince)
Già vederlo partire con una maglia “normale”, seppur bordata di iride, ci ha fatto un curioso effetto. Peter Sagan eravamo abituati a vederlo vestito con una maglia di campione di qualcosa. Nel primo sprint è arrivato secondo a un soffio dall’incredibile Teunissen. Qualche giorno dopo trova la vittoria, vecchia maniera, col gesto del gorilla, anzi di Hulk, visto che si è vestito subito di verde già dal primo giorno.
Alla vittoria ha affiancato una serie impressionante di piazzamenti. Non è una novità per lui, vederlo districarsi da solo in mezzo ai corridori della volata fa pensare che con un treno pensato ad hoc avrebbe potuto ottenere di più. Più di una volta lo abbiamo visto aggirare corridori più lenti e ritardare la volata e, nonostante questo, ottenere comunque piazzamenti tra i primissimi. No, decisamente non lo si può considerare finito.
A margine vanno considerati tutti gli episodi di “show” in cui si è lasciato andare: per il ciclismo è una promozione continua. Serietà, forza e simpatia lo pongono al di sopra di un “semplice” campione.
Mike Teunissen 7 (la maglia gialla inaspettata)
Primo corridore del Limburgo a indossare la maglia gialla. Vince una volata per sbaglio, lui che la volata doveva solo tirarla a Groenewegen, ma il capitano cade proprio nel finale. Sull’arrivo fa la volata e al fotofinish con Sagan si dà per scontato che la vittoria sia dell’ex campione del mondo. Invece l’evidenza mostra il contrario: in giallo c’è Teunissen che poi mantiene e, anzi, conferma, il primato il giorno dopo nella cronosquadre. Un inizio veramente col botto.
Geraint Thomas 7 (forte fortissimo, con qualche scivolata)
È arrivato al Tour da attore non protagonista. Gli occhi sul Team Ineos sono puntati su Egan Bernal, delfino predestinato di Froome, dove Thomas appare più come “uno forte di passaggio” che non come un cavallo di razza su cui puntare con un programma ben definito.
Per lui prima tappe e prima caduta. Non ne è uscito male, ma la sfiga gioca un ruolo importante affianco alla forza e alla condizione del momento in una gara a tappe. Il campione è l’insieme di queste tre cose e Thomas, è partito con la sfiga (anche Froome, in effetti in alcune occasioni – vedi il Giro dell’anno scorso).
Certamente è apparso meno dirompente del 2018. La fatica fatta sul Tourmalet ha lasciato i segni nelle gambe e non solo.
I suoi attacchi con il compagno di Team, Egan Bernal, davanti, non ci sono piaciuti. Si è inchinato alla superiorità di Bernal quando era evidente. Avrebbe dovuto farlo prima senza correre il rischio di rovinare tutto.
Matteo Trentin 8 (una garanzia)
Quando c’è da provarci Trentin c’è. Se c’è da fare un’incursione potete contare su di lui. Le fughe sono pane per i suoi denti, così come le volate dove ha fatto diversi piazzamenti. Ma nella tappa buona va in fuga da lontano e, invece che aspettare la volata, dove pure avrebbe avuto ottime probabilità di vittoria, decide di lasciare tutti in salita e arrivare da solo. Ha dato l’impressione di fare come voleva, compresa la sgommata finale dopo l’arrivo. Da applausi.
Un corridore che è una sicurezza.
Alejandro Valverde 6 (si è svegliato tardi)
Maglia anonima quella dell’iridato nella prima parte del Tour. Praticamente mai visto, al punto da chiedersi, anche per lui, se fosse in gara. E sì che quella maglia non passa tanto inosservata.
È cresciuto nell’ultima settimana ed è arrivato a sfiorare il colpaccio nella penultima tappa, arrivando a una manciata di secondi da Nibali.
Wout Van Aert 8 (è forte quasi ovunque)
È davvero un corridore fortissimo e non lo scopriamo a questo Tour de France. Si difende in salita, va forte a cronometro. In volata (sì, era una certa pendenza) ha battuto addirittura Elia Viviani lasciando il suo primo sigillo sul Tour de France, incredulo più lui di noi.
Poi si è caduto malamente agganciando una transenna per aver chiuso troppo una curva a cronometro. Peccato davvero, anche perché è un incidente dal recupero non proprio breve.
Però, se mai fosse servito, ci ha confermato la sicurezza che è uno dei giovani che ci faranno divertire di più in futuro.
Elia Viviani 7,5 (non ha deluso)
Dopo la polemica del ritiro al Giro, delle tappe anonime, di quella squalifica dolorosa, Viviani era atteso al varco. Prima volata liscia, peccato perché c’era in palio la maglia gialla. Ma poi a segno con uno sprint favoloso e finalmente in sincronia perfetta con la squadra. Poi quella ruota bucata proprio sul più bello e comunque la bravura per tenere la bicicletta e fare comunque sesto. Segno di presenza fisica e di testa. Occhio e capacità da pistard qual è. Peccato per essersi defilato proprio nell’ultima tappa, quando i suoi compagni di squadra avevano già fatto il treno per lui. Ma arrivare al finale del Tour è tanta fatica. E Viviani, nei giorni passati, non si è tirato indietro per andare a tirare in aiuto ad Alaphilippe.
Simon Yates 7,5 (due belle tappe)
È arrivato là dove il fratello gemello, Adam, non è riuscito. Ha vinto due belle tappe con lo stile del campione. Ha giocato di forza e tattica e ha salvato il buon nome della famiglia Yates. E anche della squadra.
Guido P. Rubino