5 giu 2019 – Cosa vuoi dire dell’Eroica dopo che ne hai fatte otto? bellissime! non si discute, ma le cose sono sempre quelle: le strade bianche, la salita, le bici di una volta, le maglie di lana, la bellezza della fatica (che quando la provi dici: Brocci, accident’attè), il gusto dell’impresa (che quando la vivi dici: Brocci, grazie! magnifico!).
Poi ci pensi e dici: “Ogni volta però è diverso”. La prima sei ubriacato dal mondo Eroico e non capisci niente, la seconda inizi a scoprire delle cose, la terza sfidi la salita e perdi, la quarta sfidi la salita e perdi, la quinta ti metti il cuore in pace, poi provi l’altro percorso, poi il caldo torrido, poi, poi, poi. Mille cose nuove ogni volta. Questa volta c’erano il fango e la pioggia.
Io avevo capito che con la pioggia le strade bianche diventano più scorrevoli perché si compatta il fondo, e poi quasi non ci si sporca perché sparisce quella polvere che va dappertutto. Non avevo capito male, dipende da quanto piove. Se piove poco è vero; se piove molto/troppo si finisce in una mare di fango. Un po’ ci si sporca, ma quello è divertente, meno divertente, per un ciclista normale, è che con tanta acqua il fondo delle strade bianche diventa tipo il pongo, i tubolarini affondano e a ogni pedalata senti il lamento di una ventosa che si stacca. E ti viene il dubbio che una strada bianca appiccicosa non sia poi il massimo della scorrevolezza.
Il meglio arriva nella zona delle Crete Senesi, lascio alla fantasia del lettore il pedalare sull’argilla, immagine peraltro descritta da Dante nella Divina Commedia, Inferno:
Dopo ciò poco vid’io quello strazio
far di terror a le fangose genti,
che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
Venerdì sole, sabato mezzo e mezzo. Ma per domenica il meteo dà pioggia sicuro. Da quando non c’è più Bernacca le previsioni non funzionano, nemmeno quelle in diretta — scrivono: “Adesso c’è il sole”, invece piove (o viceversa), sarebbe bastato aprire la finestra o fare una telefonata — e quindi eravamo speranzosi di pedalare almeno senza il diluvio. Ma i montalcinesi esperti dicono pioggia, loro non sbagliano, non si scappa.
Mi alzo alle 6,30 rassegnato al peggio, apro la finestra, non piove, solo nuvoloni. Dai, mi dico, ce la facciamo, magari questa volta i montalcinesi sbagliano, mentre faccio la colazione arriva il diluvio. Scende così tanta acqua che non sappiamo nemmeno come arrivare a Montalcino, e sono due chilometri; gli altri 70 e rotti come li facciamo?
Scelgo il percorso. Al lungo, 153 chilometri, non penso nemmeno, il 98 l’ho fatto l’anno scorso. Gli esperti mi dicono: se piove fai il 46. Che ha pure un bel nome: Montalcino Montalcino, suona benissimo. Tra l’altro siamo preparati, in questi giorni di pregara l’abbiamo “degustato” il Brunello, partiamo bene idratati. Però 46 chilometri mi pare poco, anche se piove.
Scelgo quindi il 70 chilometri, che chiamano Corto. Chiedo a Franco Rossi di dare un nome un po’ più eroico a questo percorso, visto che sono arrivato a Montalcino con “qualche leggera difficoltà di movimento” (cit.). Per colpa mia, quest’anno non sono in forma, ma un po’ c’entra anche la pioggia. Lasciatemi questa illusione.
Questa volta fare la Castiglione del Bosco sui pedali non m’è passato nemmeno per l’anticamera del cervello. Come inizia la salita scendo dalla bici, ma subito dopo la signorina delle fotografie (per essere eroicamente immortalato mentre pedalo). Poi via scarpinare. Pioveva. È stato bello.
Arrivo passeggiando al ristoro che c’è a metà della salita della Castiglione del Bosco. Sono sfinito, ora ci vorrebbe il letto, invece manca ancora una ventina di chilometri, di cui tre di salita, tre di salitona e pioggerellina.
Per la bellezza della fatica, Brocci, 💣⚒🧨🐌👺🛌.
Questa debacle mi fa purtroppo perdere la gioia dei ristori, sono troppo stanco per gustare quelle due-tre cose che hanno preparato quest’anno: pecorino stagionato in barrique, vino, zuppa di ceci, vino, salumi, minestra di pane, vino, ancora salumi e crostate fatte in casa, macedonia, vino, ribollita, porchetta, zuppa di cereali, vino, panforte.
Riesco a sfruttare solo il ristoro di Torrenieri, il primo del tracciato. Ci voleva proprio, dopo ben dodici chilometri dalla partenza (di cui otto in discesa): curato da una pasticceria locale offre dolci di ogni tipo, zabaione col marsala e vin santo. Amen.
Qui arriviamo infangati dalla testa ai piedi, la terra sul cappellino, negli occhi, in bocca, il sedere bagnato; poi pioverà forte, così ci laveremo un po’, per poi rispataccarci di nuovo sulle altre strade bianche e arrivare infine, infangati e supereroici, a Montalcino. Dove così conciato mi vede il Brocci, ed è felice per me.
Dalla Castiglione del Bosco in poi ho pedalato con tutti i santi, in particolare con santa Caterina da Siena, e ho fatto a piedi anche le salite asfaltate che ho sempre pedalato, e meno male che l’ultimo tratto era in discesa, altrimenti sarei ancora lì.
Arriviamo a Montalcino immersi nella nebbia, qualcuno cita la Coppa Cobram. Ha ragione, mi sento un po’ fantozziano, in piazza del Popolo accuso “qualche leggera difficoltà di movimento” (cit.). Prendo la sudata medaglia e riesco anche ad arrivare all’hotel, due chilometri di leggera salita. Prima faccio una doccia per sgrossare lo sporco, lascio nella vasca una zolla di creta senese, svengo nella vasca.
È la mia Eroica più sofferta, non credo che sia solo per le strade che han fatto i succhiotti alle gomme, sono proprio io a battere la fiacca. Capita che qualche volta ci sia una giornata no, anche ai campioni come me.
Aldo Ballerini