25 mag 2017 – Putacaso che ti offrano di stare ospite su un’auto della stampa a seguito della carovana del Giro d’Italia per un intero fine settimana. Che fai? Io, m’imbuco! Ed è così che per la prima volta mi ritrovo immersa nel carrozzone di nani e ballerine di questo Giro a tre cifre, il Giro 100.
Venerdì pomeriggio sono a Tortona, arrivo della tredicesima tappa che partiva da Reggio Emilia, 167 chilometri piatti come l’encefalogramma prima del caffè mattutino. La cittadina piemontese è infiocchettata come una bomboniera, nastri rigorosamente rosa sventolano nel cielo blu mossi da un’aria che qui sa quasi di mare e avvolgono ogni lampione, ogni panchina, ogni balcone.
Sul traguardo la folla è stipata alle transenne, il sole picchia proprio contro lo schermo, non si vede nulla di nulla e allora ci si lascia rapire dallo spettacolo dei bambini e delle famiglie in festa sui balconi, almeno finché la radiocronaca non grida il nome del vincitore: Fernando Gaviria.
Tom Dumoulin si conferma in Maglia Rosa, ma non si vede nulla neanche della premiazione: brutta cosa essere piccole e brutto vizio quello di tenere i telefonini alzati per ore a riprendere, chissà poi cosa. Guardatevela in diretta la vita, dico io!
Fine dello spettacolo arrivederci e grazie. Mi riconcilia con la giornata un delizioso “bacio tortonese” incartato di rosa, of course, variante al lampone dei noti dolci locali. La prova bikini può attendere, ma l’umore migliora. Anche la sera va a pedali, nel piccolo teatro di Rivanazzano: Emanuele Arrigazzi e Fabio Martinello portano in scena «Può una bicicletta volare?», testo di Allegra De Mandato, uno spettacolo di polvere e sudore in cui l’amore per la bicicletta si confonde con l’amore per la vita, per l’epica del ciclismo e per il teatro. Poetico.
Sabato mattina mi aspetta la quattordicesima tappa, sempre da infiltrata speciale sull’automobile della stampa. Tappa molto breve da Castellania a Oropa, divisa in due parti, i primi 120 km veloci e pianeggianti attraverso la Pianura Padana, gli ultimi 11 km di salita, oltre il 7 per cento con punte al 13 per cento a pochi chilometri dall’arrivo.
Castellania non è un posto qualunque: inerpicata sulla collina tortonese è luogo del cuore per gli appassionati di ciclismo perché diede i natali a Fausto Coppi e al fratello Serse. Qui si respira l’aria del ciclismo eroico e sentimentale, l’Airone si sente vicinissimo, ancora parte della piccola comunità di meno di cento abitanti che ne tramanda le storie sportive e umane e che ogni 2 gennaio, anniversario della morte di Fausto, qui si raduna a ricordarlo. Coppi è nelle facce degli abitanti che un po’ gli somigliano, è nelle gigantografie che tappezzano il piccolo borgo, è in questa terra aspra e dura. Ma nel giorno del Giro anche Castellania è smagliante e in festa.
La strada è chiusa fin dal primo mattino presto, ci sono file interminabili di persone ad aspettare le navette che li porteranno in cima alla collina, ciclisti in lycra che en danseuse si arrampicano verso il borgo, anziani che raccontano ai nipoti le storie di Fausto e scattano una foto ricordo accanto al murales all’imbocco di Castellania che l’illustratore alessandrino Riccardo Guasco ha da poco terminato in onore del Giro. Il sole splende, il salame Nobile del Giarolo “fa la goccia” e invita all’assaggio insieme ad un buon bicchiere di Timorasso, il pubblico sudato e felice prende posizione sui prati e il carrozzone colorato del Giro d’Italia spara tunz tunz e rock and roll nelle casse, sotto lo sguardo delle gigantografie di Coppi, che da lassù sembra persino perplesso di tutto questo spettacolo. I girini arrivano alla spicciolata per la firma e volentieri si concedono a selfie e battute. Le miss, bellissime e altissime, aprono gli ombrellini del colore delle maglie indossati dai ciclisti in prima linea: bianca, ciclamino, blu e rosa. Poi si defilano, parte il conto alla rovescia collettivo come sui voli charter, il Giro decolla e questa volta ce lo siamo goduto tutto. Dieci e lode. Sarà poi che si è indugiato un po’ troppo su un paio di hamburger al formaggio Montebore (tutti gli stand del cibo erano rigorosamente a km 0, grande lezione di stile tutto piemontese), sarà che al sole sarà che la strada per scendere è stipata di gente, ma arriviamo tardi per l’arrivo ad Oropa, le strade son già chiuse anche per la stampa e ci si deve fermare a Favaro con le pive nel sacco a sentire l’arrivo in un parcheggio.
Tom Dumoulin firma l’impresa sulla montagna tanto cara a Marco Pantani e stacca tutti. Riguadagniamo la strada della pianura, con le montagne che si rispecchiano nelle risaie indorate dal tramonto. E va bene così.
Domenica la quindicesima tappa parte da Valdengo, con i primi 150 km completamente pianeggianti mentre dopo Zogno si sale: Miragolo San Salvatore e Selvino, poi una lunga discesa intervallata da tornanti e 9 km di avvicinamento fino alla città alta e al traguardo.
Questa volta come infiltrata speciale sono proprio dentro la carovana del Giro e con l’aria allegra da italiana in gita mi godo tutto lo spettacolo dal sedile posteriore. Nel fondovalle fatto di villette che pare il paradiso dei geometri, ogni casa che affaccia sul percorso è un tripudio di nastri rosa e fiocchi, di camion, di gru e, a mano a mano che si sale verso i campi, persino di trattori vestiti di rosa come meringhe alla fragola.
Lasciatoci alle spalle il rigore sabaudo, qui nelle valli bergamasche impera la canottiera e il torso nudo, i campanacci agitati da scatenate signore, i cappelli rosa a tesa larga indossati da corpulenti esemplari di maschi locali, c’è pure un tifoso di Ilnur Zakarin con un colbacco rosa in barba al sole cocente, le famiglie sdraiate sui prati o a bordo strada, con il profumo di grigliata che stronca il mio povero stomaco messo a dura prova dai tornanti. Qui c’è lo spettacolo dei paesi in festa, del fermi tutti passa il Giro, della gente che ti applaude quando passi con l’auto e fa quasi sentire una celebrità anche te che proprio sei nessuno. Ma è salendo a Bergamo alta che capisci davvero cosa vuol dire “fendere la folla”: mani che applaudono, mani che si sporgono, mani che sfiorano le tue, mani che stringono bandiere, mani dappertutto e tu stai lì, immobile con il naso contro il finestrino, con gli occhi sgranati, senza neanche scattare foto perché lo spettacolo è troppo bello per distrarsi e pensi che magari tutta quell’energia lì che ti arriva farebbe andare più forte in bici persino te. Ma dall’auto è facile. All’arrivo la posizione è buona: vediamo vincere Bob Jungels, Dumoulin rimane maglia rosa. Ma lo spettacolo vero, ragazzi, lasciatevelo dire: è stato tutto nel percorso. Parola di infiltrata speciale.
Elena Borrone