Se ne parla in questi giorni, ma è tutto da verificare, della notizia che il vincitore della ultima edizione della Maratona delle Dolomiti avrebbe fatto ricorso a degli espedienti tecnici non meglio qualificati per alterare la sua prestazione.
Se, da un lato, non essendoci al momento prove inconfutabili a supporto delle accuse che vengono mosse (di aver usato una bicicletta truccata), non ci esprimiamo nel merito della questione, dall’altro iniziamo a porci un quesito, che ci ronza in testa ormai da tempo.
È ancora sostenibile il format classico delle granfondo? Quello che tende ad imitare le gare dei professionisti ed attira partecipanti che tutto sono tranne che amatori nell’accezione più classica del termine. La competizione, si sa, può condurre all’esasperazione, ed ingenerare comportamenti che nulla hanno a che vedere con i principi della lealtà sportiva e della passione per uno sport che, ahinoi, non sempre viene rispettato da chi lo pratica.
Abbiamo ancora negli occhi le strette di mano e gli abbracci tra Vingegaard e Pogacar al Tour. Ci auguriamo, mutatis mutandis, che questo rinnovato spirito decoubertiano possa essere da esempio per nuove generazioni di amatori. E non soltanto in senso anagrafico.
6 ago 2022 – Riproduzione riservata – Cyclinside