di Guido P. Rubino
Era il 15 aprile quando pubblicavamo un editoriale dedicato alla nuova mobilità. Anzi, alla “normalità aumentata”, quanto ci era piaciuta questa definizione, cui stavamo andando incontro. In questi giorni si cominciava a vedere la fine di un tunnel in cui ci eravamo infilati senza saperne la lunghezza. Ricordate quei giorni? Eravamo tutti storditi da quel che stava accadendo. Il Covid-19 ci aveva messo addosso quella paura. Non ci sentivamo sicuri nemmeno nelle mura domestiche e il lockdown ci aveva storditi completamente: dallo stare chiusi in casa all’esigenza, per chi poteva, di rivoluzionare il lavoro. E poi la scuola in didattica a distanza con tutte le difficoltà evidenziate all’improvviso col megafono.
Computer, cellulari e tablet sono diventati di colpo protagonisti di una rivoluzione che li ha tirati fuori dal loro ruolo. Per molti erano un gioco oppure di stretta pertinenza lavorativa. Sono diventati compagni di vita quotidiana al punto da delineare, partendo dalle necessità del momento, nuove abitudini e prospettive di vita. Con la necessità di stravolgerne proprio i ritmi ma in senso positivo.
Rivoluzione lavorativa
La normalità aumentata cui pensavamo otto mesi fa in parte si è pure realizzata: molte aziende, dove hanno potuto, hanno sfruttato la possibilità di far lavorare i propri dipendenti da casa e molte riunioni si sono svolte online. Anche gli incontri di presentazione di nuove biciclette e accessori, che proprio in quei mesi avrebbero dovuto avere luogo, si sono svolti in modalità a distanza e, anche qui, se ne sono colti alcuni aspetti positivi pur mancando il valore aggiunto del contatto diretto, della chiacchiera in più.
La spinta verso la bicicletta
Il lockdown è stato sofferenza fisica, sopratutto, ed economica. Il settore della bicicletta, però, si è trovato, alla riapertura, ad avere davanti a sé un boom inaspettato di richieste per la confluenza di diversi fattori tutti di fortissimo traino: la voglia di uscire e di libertà di movimento, la necessità di pensare a una mobilità rinnovata: nelle città iniziavano a comparire le “ciclabili popup” che pure si sono tirate addosso tante critiche (anche oggi) ma sono state carburante, finalmente ecologico, di un motore più verde che mai. Quel motore che ha fatto tirare un sospiro di sollievo al settore ciclistico mettendo la gente in fila fuori dai negozi alla riapertura. Negozi che, ai primi di maggio, scoppiavano di biciclette invendute in un anno che, fino a lì, era stato disastroso. Poi ci si è rifatti con gli interessi verrebbe da dire per come i negozi si sono svuotati e per come abbiano difficoltà a recuperare biciclette ora.
Al traino della bicicletta ha contribuito, ovviamente, anche l’iniziativa del Bonus Mobilità, pure al lordo di tutto quel che si è detto di questa iniziativa (alla quale abbiamo dedicato anche uno nostro speciale che potete trovare qui).
A che punto siamo arrivati
Nella nostra società, nel mondo social soprattutto, si tende a concentrarsi sugli aspetti negativi per additare cose di cui istintivamente sentiamo di avere la soluzione in tasca finché non ci si immerge nel mare, spesso torbido, della messa in atto. Facciamo allora un esercizio al contrario: guardiamo le cose positive.
Il 2020, dal punto di vista ciclistico, inteso come osservatorio sulla mobilità, ha fatto un grande passo avanti in Italia (la spinta, a dire il vero, c’è stata in tutto il mondo più o meno). I risultati contano e ci sono stati anche quelli ma, soprattutto, ha portato all’attenzione di tutti – ma proprio tutti – la possibilità in più della bicicletta. Una possibilità che è diventata un’alternativa che appare sempre più obbligata. Da un punto di vista culturale non è affatto poco: è tantissimo.
Si è fatto troppo poco? Diciamo che siamo all’inizio di una rivoluzione e, per quanto ci piacerebbe andare subito all’ultima pagine del libro della nuova mobilità, dobbiamo per forza passare attraverso tutte le pagine, ma a questo punto abbiamo lasciato l’introduzione da un po’.
Il rischio, caso mai, è di lasciare un segnalibro a metà volume e il libro dimenticato sul comodino.
È iniziato un cambiamento che sarebbe criminale lasciare a metà.
Stop e ripartenza
Per certi versi è quel che sta succedendo, in effetti. Il silenzio del governo italiano è preoccupante. Dalla ripresa autunnale, con la preoccupazione e poi la seconda ondata di pandemia da affrontare, si è parlato di mobilità ma non di biciclette, lasciando le chiacchiere solo alla cronaca (per la verità focalizzata sulla questione monopattini che, all’improvviso, sembrano preoccupare più delle bici – in senso negativo).
Ai più sarà sembrato poco efficace un discorso che spingesse a favore della bicicletta proprio nella stagione climaticamente peggiore. Quei più che, in maniera miope, si sono dimenticati di guardare oltre i nostri confini. Ma sono cose già dette. Come le frasi fatte di chi considera le nostre grandi città come lontane da una mobilità ciclistica perché “non progettate” per le biciclette.
A dire il vero le nostre città storiche non sono state progettate nemmeno per le automobili e, anzi, per adattarle ai mezzi motorizzati sono state spesso deturpate di proposito.
Ora ci sarebbe un buon motivo di salute – in questo momento sentito più che mai – per spingere verso l’uso della bicicletta. E magari servirebbe accorgersi che le tanto apprezzate città europee in cui la bici è ormai cosa naturale, una volta non erano affatto ciclabilizzate ma invase dalle automobili.
La differenza è cambiamento culturale che non è stato più semplice di come potrebbe essere da noi. Anzi, noi abbiamo il vantaggio di sapere già come va a finire e che la convenienza sarà pure economica. Vi pare poco?
6 dic 2020 – Riproduzione riservata – Cyclinside