Francisco Munoz, del Team Polti, è partito praticamente al primo chilometro di gara, appena Stefano Allocchio, direttore di corsa, ha abbassato la bandierina del via ufficiale della quarta tappa del Giro d’Italia, da Alberobello a Lecce.
Il ventitreenne spagnolo ha accelerato deciso, si è guardato indietro sperando nell’arrivo di qualche altro temerario per viaggiare insieme, ma il gruppo ha dichiarato subito che la sua sarebbe stata una fuga solitaria. Nemmeno la scusa di una fuga a favore di sponsor (che lo sappiamo, tecnicamente conta poco, ma almeno dà qualche parola in più a chi deve raccontare), indifferenza totale.
Insomma, se Mauro Vegni si era lamentato di poca combattività dei corridori in terra albanese, non è che le cose siano migliorate una volta tornati in patria.
Munoz, intanto, capito il suo destino solitario, ha scosso la testa e proseguito col vento in faccia, romanticamente da solo.
Se le dirette integrali delle tappe ci hanno fatto scoprire, già da anni, quanto sia complicato andare in fuga perché si tratta di merce pregiata, soprattutto in una gara prestigiosa come il Giro d’Italia, la tappa di oggi potrebbe essere l’eccezione che conferma la regola.
Partito Munoz nessun direttore sportivo ha urlato nelle radio dei suoi di gettarsi nella fuga, di farsi vedere, di dare un senso a una giornata super piatta. Invece il gruppo ha condannato Munoz alla solitudine e a una fatica da non condividere.
E noi a una inesorabile noia. Altro che quanto descritto in questo vecchio articolo (sempre attuale) di Stefano Boggia.
Giro d’Italia: la tattica della fuga. Sembra facile? Manco per niente!