Quando ha messo piede in Toscana, non immaginava che avrebbe vissuto una delle esperienze più intense e sorprendenti della sua giovane carriera. Venti anni, originaria del Canada, Mahika è una delle promesse emergenti del team OM.CC – Officine Mattio Cycling Club, e si è trovata catapultata nella NOVA Eroica quasi per caso.
Una canadese in Toscana: senza aspettative, solo curiosità
“Avevo sentito parlare delle strade bianche, ma non sapevo molto di più. Non sapevo che fosse una gravel race, né cosa aspettarmi. Sapevo solo che avrei pedalato in un luogo iconico, e questo mi bastava.”
Buonconvento l’ha accolta con il suo fascino da borgo sospeso nel tempo, tra vicoli stretti, profumo di cucina locale e un fermento inaspettato: centinaia di ciclisti arrivati da tutta Europa. Tutti in sella a gravel bike. Mahika, con la sua bici da strada, era decisamente fuori dal coro.
“Mi sono sentita un po’ fuori luogo all’inizio, ma poi ho capito che alla NOVA Eroica non conta con cosa pedali. Conta come lo fai.”
Un’atmosfera che va oltre la competizione
La NOVA Eroica non è una gara nel senso classico. È un evento che mette insieme la passione per il ciclismo, la bellezza del paesaggio toscano, la convivialità e un pizzico di sana fatica. La formula è semplice ma geniale: un percorso di circa 130 km, su e giù per le colline senesi, di cui solo quattro segmenti sono cronometrati.
Il resto è puro piacere di pedalare. Tra una salita e una discesa, ci si ferma, si chiacchiera, si mangia. Ai ristori si trovano pane fresco con zucchero e vino, salumi locali, torte fatte in casa. Tutto è pensato per rallentare, per gustare l’esperienza.
“C’erano punti in cui mi dimenticavo che stavo partecipando a una gara. Guardavo i cipressi, le strade polverose, le vecchie cascine… sembrava un film. Solo che io ero dentro.”

La gara nei tratti che contano
I quattro segmenti cronometrati sono distribuiti in modo da spezzare il ritmo: due nella prima parte, due negli ultimi 40 km. In tutto, circa 30 km a tutta dentro un tracciato che lascia ampio spazio anche all’anima del cicloturismo.
Mahika ha scelto di affrontarli come una serie di ripetute ad alta intensità, tra lunghi momenti di recupero e convivialità. Nei primi due segmenti ha trovato subito un gruppo con cui condividere lo sforzo: non si conoscevano, ma si sono accordati al volo con uno sguardo.
“Non avevamo bisogno di parole. Solo di gambe e di fiducia. Tiravamo forte a turno, ci davamo cambi regolari. Quei tratti sono volati.”
Nonostante fosse su una bici da strada, Mahika è rimasta sorpresa dalla maneggevolezza e dalla solidità del mezzo anche sullo sterrato. Non ideale, certo, ma nemmeno penalizzante, almeno nei primi chilometri.
La corsa, l’imprevisto e la bellezza dell’aiuto
Dopo i primi due segmenti, la corsa è diventata più rilassata. Mahika ha pedalato per oltre 70 km a ritmo tranquillo, parlando con ciclisti da ogni parte d’Europa, godendosi le colline toscane e quella strana ma bellissima sensazione di “appartenere” a qualcosa, anche se per un giorno soltanto.
Poi, verso il chilometro 100, il primo segnale di allarme: la ruota anteriore iniziava a perdere pressione. Un lento sgonfiamento, tipico delle forature tubeless difficili da individuare subito.
“Non avevo attrezzi. Né io, né il mio amico avevamo nulla per sistemarla. Abbiamo iniziato a fermare chi passava, chiedendo aiuto.”
E l’aiuto è arrivato. Prima una ragazza austriaca, meccanica alle prime armi in un negozio di bici. Poi un italiano, parte di uno dei top team gravel del Paese. Con pazienza e ingegno, sono riusciti a gonfiare la gomma abbastanza da permettere a Mahika di continuare.
“In quel momento ho capito davvero lo spirito dell’Eroica. Non era solo una gara. Era una rete di persone, un’energia collettiva. E io ne facevo parte.”
Un finale da ricordare (e da raccontare)
Mahika ha completato il terzo segmento cronometrato, anche se con qualche sosta forzata per rigonfiare la ruota. E poi è arrivato l’ultimo tratto, quello decisivo, dove le gambe contano ma anche la testa fa la differenza.
“Gli ultimi chilometri sono stati un misto di adrenalina e gratitudine. Mi sentivo parte di qualcosa. Ero lì grazie a chi si era fermato, grazie a chi mi aveva aiutata.”
Ha tagliato il traguardo con gli stessi due che l’avevano aiutata lungo la strada. Un finale che non si può programmare, che non si scrive in un file .gpx, ma che resta scolpito nella memoria.
E come ciliegina sulla torta, Mahika ha scoperto di aver chiuso prima tra le donne. Una vittoria che ha il sapore dell’imprevisto, dell’autenticità, dell’umanità.
“Sì, ho vinto. Ma la cosa più bella è stata tutto il resto. Il viaggio. Le persone. Il sentirmi viva, anche con una gomma sgonfia.”


































