di Carlo Simonelli
Piove; è Mercoledì; sono a Cesena.
Scherzo, dài: è Sabato, fa un caldo pretenaturale e sono in Toscana per partecipare alla sesta edizione della Nova Eroica, la Gran Fondo per biciclette Gravel che si svolge nelle campagne intorno a Buonconvento.
Ho la fortuna di essere in sella a una splendida Cinelli Nemo con telaio in acciaio Columbus a triplo spessore, ruote in carbonio e un cambio Campagnolo Ekar a tredici velocità che supplisce gagliardamente alla mia carenza di allenamento; malgrado ciò, quando guardo la fila di ciclisti davanti a me inerpicarsi lungo la strada sterrata, sotto un sole inclemente e senza la benché minima traccia di ombra su entrambi i lati della strada, non posso fare e meno di chiedermi: Ma chi ce lo fa fare?
Ora, a essere onesti, io questa cosa me la chiedo sempre, durante le corse: da quando passo sulla linea di partenza all’inizio a quando taglio la linea del tragauardo, solo che sulle salite me lo chiedo con maggior insistenza.
Nel mio caso, la risposta è semplice: io vado in bicicletta perché c’ho la panza e devo smaltire i Pici con l’Aglione, il fritto, il vino rosso e il Vin Santo che ho ingurgitato la sera precedente.
La maggior parte dei miei compagni di avventura, però, ha fisici asciutti: fianchi stretti e spalle larghe.
Loro, perché lo fanno?
Quale è il senso di tutta questa fatica?
Soprattutto: perché la gente che fa l’Eroica una volta, poi, ci torna?
Ci andasse solo una volta, capirei.
Quando ero più giovane, anche io ho corso la Maratona, ma una volta sola, per poter dire che l’ho fatta; dopo di che, non mi ci ha fregato più.
Al contrario, le persone che vengono una volta all’Eroica, poi tornano all’Eroica.
Anno dopo anno, tornano a soffrire.
Perché, diciamocelo: l’Eroica altro non è che ore e ore di sofferenza.
Il piacere della fatica, a cui accenna il motto della manifestazione, lo senti solo dopo l’arrivo, quando ti siedi a bere una birra; prima, fa male.
La Nova Eroica, a cui stiamo partecipando in questo Sabato di Giugno, ancora ancora ha una dimenisione umana, perché si corre con biciclette moderne, pensate anche per un uso amatoriale.
All’Eroica classica, però,non sono ammesse astronavi come la mia Nemo, ma solo le biciclette prodotte prima del 1987: indubbiamente molto belle, ma tutt’altro che facili da utilizzare per chiunque non sia o non sia stato un professionista di questo sport.
Quando tutto ciò è cominciato, quasi venticinque anni fa, non era poi una cosa così strana che novantadue appassionati di ciclismo si riunissero a Gaiole, un piccolo borgo della provincia di Siena, e con delle biciclette vecchie di dieci anni andassero a farsi un giro sulle strade sterrate lì intorno.
Era il 1997.
C’erano i telefoni cellulari, ma non gli smart-phone.
C’erano i Personal Computer, ma Internet la conoscevamo ancora in pochi (“Capisci di Internet?”, domandava, a Mai dire Gol il Nonno Multimediale di Francesco Paolantoni).
La rivoluzione virtuale era cominciata, ma il Mondo era ancora solidamente materiale.
Oggi non è più così.
Da anni ormai deleghiamo alla tecnologia buona parte delle attività che nel 1997 svolgevamo in prima persona: abbiamo sensori di parcheggio, navigatori satellitari, lavatrici che puoi far partire dal telefono..
Solo un residuo di dignità ci impedisce di chiedere a Siri di farci il bidet.
La tecnologia, volendo, ci sarebbe pure.
Il ciclismo non è indenne da questa tendenza: la produzione di biciclette elettriche in Italia, negli ultimi due anni, ha avuto una crescita del 25%, passando da 275.000 a 345.000 unità prodotte.
Lo scorso anno, abbiamo esportato e-bike per 124 milioni di Euro e ne abbiamo importate per 128 milioni.
Oggi, se hai la passione per i paesaggi rurali, ma non ti va di faticare, non è un problema: puoi comprarti o, ancora meglio, affittarti una bella bicicletta elettrica e andartene in giro finché la batteria te lo consente.
Invece no.
Migliaia di persone – duemila a Montalcino a fine Maggio; mille e trecento sabato a Buonconvento – scelgono di faticare ben più del necessario, pedalando non sull’asfalto, ma sullo sterrato e non con delle mountain-bike bi-ammortizzate, ma, quando va bene, su delle gravel; se no, su biciclette pre-1987, che non vuol dire 1986, ma 1975, 1960 o, anche, 1925: freni a pàttino, leve del cambio sul tubo obliquo del telaio e cambio (se c’è) a 5-6 pignoni, tutti abbastanza simili e ostici – niente a che vedere con i tredici pignoni da 9 a 42 denti che compongono il fungo atomico sul lato destro della mia ruota posteriore.
Malgrado tutte queste difficoltà, le persone che parteciperanno all’Eroica di Gaiole, a Ottobre, saranno quasi cento volte quelle che parteciparono alla prima edizione e le strade bianche del Chianti, che nel 1997 erano la vergogna dei Comuni, perché evidentemente il Sindaco non era riuscito a trovare i soldi per asfaltarle, oggi sono protette da una Fondazione che collabora con gli Enti locali per preservarle e valorizzarle.
Come si spiega, tutto ciò?
Per noi che siamo nati prima degli anni ’80 potrebbe essere un modo per rivivere la nostra giovinezza, con la TV in bianco e nero, il pranzo della Domenica dai nonni, le paste e Alto Gradimento il Sabato, appena tornati da scuola, ma i giovani?
I ragazzini che non hanno mai comprato un disco in vita loro e che magari parlano in corsivo, perché vengono all’Eroica?
L’unica risposta che mi viene in mente – azzzardata, fantascientifica, quasi – è che la nostra Società non sia del tutto allo sbando; che ci siano ancora, in Italia e nel Mondo, delle persone che condividono gli stessi valori e la stessa educazione che sono stati impartiti a noi e che queste persone che non urlano, non sporcano e non insultano, ricerchino naturalmente la compagnia dei loro simili, così come le sterne che, in mare, se ne stanno sempre per conto loro, evitando di mischiarsi con i gabbiani, animali notoriamente rozzi e volgari.
Questa ipotesi, per quanto immaginifica, è l’unica che può spiegare come mai noi decidiamo di inerpicarci per strade sterrate sulle nostre biciclette: è il nostro modo di riconoscerci, il modo in cui selezioniamo i membri della nostra comunità.
Così come Briatore tiene fuori dai suoi locali un certo tipo di persone offendo pizze da cento Euro, L’Eroica usa le salite per tenere fuori un altro tipo di persone.
Ciascuno di noi, quindi, sale sulle strade sterrate per dimostrare che è parte del branco; per affermare, con i fatti prima ancora che con le parole, di credere che le cose importanti della vita non sono mai facili e che raramente ciò che è virtuale è anche virtuoso.
Oppure siamo tutti matti, che potrebbe benissimo essere.
27 giu 2022 – Riproduzione riservata – Cyclinside