20 feb 2017 – L’Italia è forse il Paese che ha più piste per il ciclismo. Però ne vengono usate pochissime. Invece potrebbero essere un punto di riferimento per molti giovani ciclisti, ma anche per chi inizia e magari si appassiona a specialità affascinanti da vedere e da correre da protagonisti. Com’è la situazione della pista? Dopo l’oro di Viviani in Italia non sembra si stia facendo tantissimo. Sicuramente si potrebbe fare meglio, magari sfruttando anche l’eco mediatico del successo di Rio.
Magari ripartendo proprio dai velodromi sparsi sul territorio.
Ne abbiamo parlato con Silvio Martinello. Dieci domande. Ecco le sue risposte:
1. L’Italia è uno dei paesi al mondo con il più alto numero di velodromi, oltre 40. Forse solo il Giappone ci supera. Le piste sono presenti in quasi tutte le regioni, anche al sud. Nonostante questo si fatica a considerare questi velodromi una risorsa straordinaria per rendere il ciclismo un autentico sport di base, come in fondo era nella prima metà del Novecento.
Perché la Federazione non ha interesse a investire su questi velodromi dove giovani e meno giovani potrebbero pedalare nella massima sicurezza e nel massimo divertimento? Non potrebbero nascere qui i futuri Martinello e Viviani?
L’impegno economico per restaurare o rendere di nuovo agibili queste piste sarebbe limitato, sicuramente inferiore a faraonici progetti di nuovi velodromi coperti da 250 m. Perché non lo si fa?
Wiggins è cresciuto a Herne Hill, una pista di fine Ottocento, lunga e con curve poco pendenti. Continuare a dire che le vecchie piste sono inutili non ti sembra un problema di mancanza di cultura ciclistica?
SM: Ragionamento condivisibile, credo che la Fci non investa perché non ha le risorse per farlo, decidendo di puntare solo sull’alta specializzazione, praticamente senza sfruttare il reale potenziale del nostro movimento. Quando mi sono occupato di aspetti tecnici, in Federazione, avevo preparato un progetto che prevedeva la valorizzazione dei centri territoriali. Eravamo anche partiti, ma poi quando me ne andai, tutto si fermò. Ipotizzo per problemi economici. Chi sottolinea che le vecchie piste sono inutili, dice delle castronerie.
2. Lo scorso 2 giugno è stata inaugurata la pista restaurata del Vigorelli. Alla cerimonia inaugurale spiccava un’assenza, quella della Federazione Ciclistica Italiana. Perché secondo te FCI è così disinteressata rispetto alle sorti di un monumento del ciclismo come il Vigorelli, conosciuto in tutto il mondo e tutelato dal Ministero beni culturali?
SM: Non ho seguito la vicenda, e non conosco le eventuali ragioni della mancata presenza. Lo stesso ragionamento fatto in precedenza per i velodromi sparsi sul nostro territorio, lo possiamo fare anche per il Vigorelli.
3. Negli ultimi anni il mondo del ciclismo è sembrato piuttosto scettico sulla possibilità di riaprire il Vigorelli. Eppure le aperture organizzate lo scorso autunno dal Comitato Velodromo Vigorelli (un gruppo spontaneo di appassionati) alle quali hanno partecipato centinaia di amatori e atleti (tra i quali quelli della Red Hook Criterium e alcuni giovani talenti delle categorie juniores) hanno dimostrato che questa pista può ancora avere un futuro. Tutti erano felicissimi e sorpresi delle sensazioni provate. Non pochi dicevano che era meglio di Montichiari. Da dove deriva questo scetticismo?
SM: Non saprei, il Vigorelli è senza dubbio un impianto costoso, anche dal punto di vista della manutenzione, bisogna necessariamente trovare il modo di non perdere questo patrimonio. Detto ciò, ricostruire l’interesse intorno all’impianto non sarà cosa semplice, e credo che al di là delle foto inaugurali, degli immancabili proclami e rituali, se ne stiano rendendo conto in tanti. Il tutto va ricondotto alla necessita’ vitale di pensare ad un piano nazionale per ridare linfa a questi impianti. Dotarli di personale, materiale e pensare ad un calendario, un po’ alla volta si ricostruira’ l’interesse intorno alla pista.
4. Perché nonostante gli straordinari successi del ciclismo britannico, ma anche di quello australiano o di quello colombiano, che hanno dimostrato l’efficacia della pista, in Italia si continua a investire così poco sui velodromi?
SM: Bella domanda. Anche qui devo risponderti che non lo so, a me appare delittuoso, e qui mi fermo.
5. Perché nonostante l’ultima tappa del Giro n. 100 sia una cronometro individuale RCS non ha voluto farla arrivare al Vigorelli? Non sarebbe stata un’ottima occasione per promuovere il rilancio della pista?
SM: Sarebbe stata un’ottima idea, ma non l’hanno avuta purtroppo.
6. Molte strutture italiane sono abbandonate ma agibili (o comunque recuperabili con poca spesa), che attività si possono fare per iniziare a coinvolgere i bambini prima ancora di pensare ad un vero e proprio percorso agonistico? Anche a biciclette non dedicate alla pista, ma giusto per cominciare?
SM: Bisogna dotare i centri di tecnici preparati, e retribuiti, un meccanico e mezzi per poter accogliere i ragazzi, fin dalla categoria esordienti e farli pedalare da subito sulla bici da pista. Questo bisogna fare, non esistono segreti.
7. Secondo la tua esperienza, avendo girato anche i velodromi di tutto il mondo, che ritorno economico può avere un’azienda che dovesse investire in un velodromo?
SM: Se nell’impianto vengono organizzati eventi, si persegue il ritorno pubblicitario, lo stesso che si può ottenere investendo in qualsiasi altro genere di impianto sportivo, un velodromo non fa differenza.
8. Musica, altri sport, esibizioni… quali sono gli spettacoli più belli che hai visto associati al ciclismo su pista (e che potrebbero contribuire ad attrarre pubblico anche non specializzato).
SM: La musica e gli spettacoli abbinati sono un naturale accostamento per spazi come un velodromo, ne ho visti di incredibilmente coinvolgenti.
9. Che consigli ti viene di dare ai dirigenti regionali per riuscire a rivitalizzare le piste? E ai dirigenti delle squadre locali?
SM: Investire nel personale tecnico e meccanico, istituire un calendario di prove regionali, ne più ne meno come si faceva un tempo. Dirigenti delle squadre locali, questo è un punto dolente, ne spariscono in continuazione, c’è uno scarsissimo e lento ricambio dirigenziale, mancano le risorse, forse mancano anche le vocazioni, nonostante non si siano mai vendute tante biciclette come in questa epoca. Abbiamo bisogno di giovani, da ricercare tra i tanti che in gioventù hanno svolto attività ciclistica, e possono essere coinvolti nuovamente.
10. Con poche eccezioni (ma forse sempre di più), le grandi squadre professionistiche tendono ad evitare che i propri atleti vadano a correre su pista. Come si potrebbe stimolarle a cambiare idea radicalmente?
SM: Su questo non vedo molti margini di manovra, l’attività prioritaria rimane e rimarrà la strada, ma pianificando progetti tecnici seri, anche i team professionistici presteranno con maggiore convinzione i loro corridori alla nazionale pista.
Redazione Cyclinside
(ha collaborato Andrea Costa – Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo)
Che spettacolo erano le sei giorni di una volta.
Se il destino del Ciclismo su pista è arrivato a tal punto la colpa è “anche” di mamma RAI che si è disinteressata di questo nobile sport, preferendo fare lo zerbino della politica becera, e guardate la politica dove ci ha portati … Domenica 19 Febbraio tutte le TV, grandi, e piccole con gli occhi puntati su #assemblea PD. … MISEREVOLE PAESE! “il nostro”.
Condivido in toto le risposte Martinello…ma purtroppo io che ho vissuto l’epoca d’oro …….mi fermo qui.. lascio ai giovani con i suoi bei compiuterini insegnare i primi passi della pista …..