Tadej Pogacar, dopo la sua incredibile performance al Campionato del Mondo, ha dichiarato di aver agito di impulso, di aver compiuto una delle imprese più memorabili della storia del ciclismo senza calcoli, seguendo solo l’istinto. Ma possiamo davvero credere che ci sia stata solo “l’incoscienza” dietro a questa sua grande fuga? Oppure questa impresa è stata il risultato di una strategia ben studiata, preparata a tavolino con precisione?
Tutto studiato?
Personalmente, propendo per la seconda ipotesi. Credo che Pogacar non sia stato quel “cavallo pazzo” che vuol farci credere, ma abbia agito con estrema intelligenza tattica. In questo momento storico del ciclismo, i primi 5 o 6 corridori al mondo fanno una differenza abissale rispetto al resto del gruppo. Sono atleti che dominano per tutta la stagione, senza sbagliare un obiettivo, capaci di far sembrare gli avversari dei dilettanti. Un esempio lampante è stata la situazione con Pavel Sivakov, che avrebbe potuto semplicemente rimanere a ruota di Pogacar per guadagnarsi un argento, ma è stato staccato inesorabilmente da ruota, come se fosse un amatore al fianco di un professionista.
Per corridori di questo livello, avere un corridore a ruota non è un problema. Ma, come dimostrato da Evenepoel, avere a ruota un intero gruppetto che non collabora diventa problematico. E come dar torto agli avversari? Chi collaborerebbe con un corridore che ha vinto due ori Olimpici, conquistato il podio al Tour, il Mondiale a cronometro, solo parlando dei risultati più recenti, sapendo che potrebbe staccarti non appena acceleri un po’ di più, magari su un falso piano a salire?
Partire da lontano per semplificarsi le cose
E in quest’ottica, partire da lontano ti evita un sacco di fastidi. Fastidi che ha avuto il campionissimo belga, che ancora una volta dimostra di essere un mostro a livello fisico, ma di avere l’assoluta necessità di essere teleguidato da qualcuno, perché da solo, in mezzo a un gruppo, non sa proprio come comportarsi.

La tattica vincente
Quindi, la tattica vincente per un fenomeno come Pogacar era semplicemente attaccare molto presto. Se l’avesse fatto Evenepoel, forse anche lui avrebbe potuto lottare per il titolo fino alla fine. A conti fatti, cosa rischiava Pogacar? Se fosse stato ripreso, sarebbe stato ripreso da quegli altri fenomeni che, come lui, sono una spanna sopra al resto del gruppo. E questi avrebbero collaborato tra loro, da pari a pari. Anche loro, però, avrebbero dovuto faticare parecchio per andarlo a riprendere, e la partita si sarebbe comunque giocata su un piano di sostanziale equilibrio.
Quindi, il mio pensiero è che a Pogacar debba essere dato non solo il merito di una dominazione fisica assoluta, ma anche di una grande intelligenza tattica – per non parlare di come ha gestito magistralmente il margine in fuga – e di un grande coraggio. Coraggio, perché anche se metti a tavolino una scelta tattica, seguirla e metterla in pratica non è facile, soprattutto se si parla di una tattica che prevede un terzo di mondiale in fuga.