15 ott 2017 – Scatto fisso e niente regole. Sono nate così le prime gare di “postini” americani. Si sono evolute nelle Alleycat, sono cresciute in un viaggio affascinante nella città e nello sport, rilanciando il ciclismo da una prospettiva diversa, salvo poi ricongiungersi all’agonismo della tradizione. Perché no?
Lo spettacolo c’è e quello nato nel quartiere Red Hook a Brooklin che poi è diventato un circuito mondiale con appuntamenti anche a Londra e Barcellona. Poi Milano a chiudere un mondiale che non è riconosciuto ufficialmente ma è un’ambizione di chiunque abbia una bici a scatto fisso e abbia sognato di gareggiare una sola volta.
Il circuito di Milano è vicino al Politecnico “in Bovisa”, poco più di un chilometro che le donne mangiano in un paio di minuti e gli uomini divorano in un attimo. Solo due staffette moto perché non ci sarebbe spazio per altre e i doppiati si fermano, questione di sicurezza. Balle di fieno in uscita di curva perché qui si parte a tutta e si finisce ancora più forte e se pieghi troppo c’è il rischio di toccare a terra con il pedale. Chi traccia il circuito cerca di disegnare curve larghe che le frenate brusche è meglio evitarle e poi via per una giornata di gare, dalle qualificazioni ai ripescaggi fino alle due finali serali, femminile prima e maschile poi.
Tanto pubblico e tanta birra, come da tradizione e non solo al di là delle transenne (e dall’odore che si respirava sul circuito c’era anche altro al di là delle transenne, ma limitato solo al pubblico, almeno speriamo). Si può fare qualche strappo alla regola in gare che durano anche meno di un’ora e danno spettacolo a ogni giro.
È anche questa la ragione del successo di queste gare: sono spettacolari e non ci sono attese lunghe. Il circuito corto permette un passaggio continuo dei corridori davanti al pubblico e nelle pause c’è una piccola cittadina di stand ciclistici e gastronomici, box aperti dove parlare con gli atleti direttamente e magari portare a casa qualche gadget.
Eccolo il racconto fotografico di una giornata di gare e inseguimenti folli. Atleti che si catapultano a testa basse nelle curve facendo il pelo alle transenne, scatti che spezzano fiato e gambe e fanno urlare il pubblico.
Niente regole vuol dire che possono correre tutti, non a caso i vincitori delle due finali sono corridori professionisti: Maria Sperotto corre per la Bepink, Ivan Cortina è compagno di squadra di Nibali alla Bahrain Merida. Uno che ha ancora la Vuelta nella gambe (tanto per dirne una) è in grado di tenere un ritmo indiavolato dall’inizio alla fine e per il resto del gruppo è una gara a non farsi riprendere. Una corsa tutta in fila indiana, di quella che fa male alle gambe e ogni strappo che supera i 50 centimetri diventa subito un metro, poi due e addio speranze di vittoria. In un circuito così non si recupera più.
Finale scontato? Forse sì, come la vittoria di Davide Viganò nella classifica finale, altra gamba da pro (ex da poco, in questo caso). Scatto fisso “is the new granfondo?” chissà, sono tanti gli ex pro che provano l’avventura e certamente stanno meglio qui che nelle granfondo, e la possibilità di far correre anche i professionisti in attività è il punto di unione di due mondi nati molto distanti ma che vanno nella stessa direzione. Se l’UCI un giorno se ne dovesse accorgere sarebbe un bene. O forse no.
Galleria fotografica
Guido P. Rubino