7 ago 2016 – Ammettiamolo su, per un attimo, quando si è capito che erano caduti davanti, mentre la moto tornava sui primi dopo che avevano staccato in discesa anche la telecamera, abbiamo sperato tutti che l’unico a rimanere in piedi fosse stato Nibali. Ora staremmo discutendo con i se e con i ma e con le battute sulla fortuna del siciliano di vincere quando gli altri cadono. Sarebbe stato ingiusto anche così e lo sappiamo ora, che le cose sono andate, invece, parecchio diversamente. Anzi, forse ancora di più abbiamo la certezza che Nibali sarebbe stato il primo oro olimpico per l’Italia, visto che fra i tre con cui si trovava era con ogni probabilità quello più lucido e forte. Majka era finito, abbiamo visto come è stato rimontato nel finale da un Van Avermaet pure stanco ma con la mentalità da cacciatore che aveva avvistato la preda. Probabilmente Nibali avrebbe battuto facilmente anche Henao.
Ma non è andata così. E il ciclismo non è fatto di se e di ma.
Doppio peccato per Nibali che ha rimediato pure una doppia frattura alla clavicola (e quindi salterà anche la crono).
Però abbiamo visto diverse cose interessanti nella prova olimpica su strada. Tanto per cominciare, una nazionale italiana che ha corso bene. E allora un applauso va anche a Davide Cassani che ha saputo leggere la corsa e si è rimesso in pista dopo altre prestazioni opache degli Azzurri. Che poi, nella corsa di ieri, c’è stata la dimostrazione ancora una volta che a contare sono le gambe e gli italiani ne avevano più di altre volte in cui hanno fatto la corsa per poi eclissarsi nei momenti decisivi. L’unico che è mancato all’appello è stato Diego Rosa, vittima forse del caldo oppure di pensieri che non lo hanno fatto correre sereno.
Tattica e corsa
Gara avvincente quella delle Olimpiadi e non solo per il percorso. Correre in cinque per nazionale (oppure meno, a seconda dei meriti) rende la corsa difficile da controllare e allora va gestita con la tattica e magari con qualche alleanza. È il ciclismo che torna a galla, quello che affascina anche oltre il risultato. Perché poi uno come Van Avermaet come fai a non applaudirlo? Avremmo applaudito allo stesso modo anche la tenacia di Majka, vincitore quasi scontato nel finale ma poi vittima della sua fatica. Avremmo applaudito anche il francese (ebbene sì) Alaphilippe, protagonista di un doppio recupero fenomenale, caduto anche lui in discesa e che per più di un attimo ha fatto pensare al ricongiungimento nel finale, unico faro di una nazionale francese completamente inesistente. Ad Alaphilippe è mancato forse l’occhio per lo scatto giusto che non è riuscito a recuperare solo con le gambe e la fortuna.
Abbiamo visto corridori correre con la loro testa e vittime dei loro errori, caso mai, piuttosto che di consigli sbagliati telecomandati con una radio. E allora siamo pure sicuri che chi ha vinto ha saputo gestirsi, ha sofferto, ha ragionato. Niente radioline vuol dire anche far emergere il corridore che riesce a ragionare meglio nel momento importante sopravvivendo al caldo e alla strada.
Abbiamo visto i Giochi Olimpici.
E oggi, forti di questa esperienza, ci sono da tifare le ragazze.
Ci sono i numeri per un bello spettacolo. E noi italiani incrociamo le dita.
Guido P. Rubino