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Home Eventi e cultura

Sessant’anni fa: Ercole Baldini Campione Olimpico. Leggete il bel racconto di Marino Bartoletti

Redazione di Redazione
8 Dicembre 2016
in Eventi e cultura, Storia della bicicletta, TechNews
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Sessant’anni fa: Ercole Baldini Campione Olimpico. Leggete il bel racconto di Marino Bartoletti

8 dic 2016 – Sono passati sessant’anni (e un giorno) da quando Ercole Baldini vinse la prova su strada dei Giochi Olimpici di Melbourne. Correndo nell’emisfero opposto si decise, unico per quell’evento, di disputare i Giochi tra novembre e dicembre. Ce lo ricorda Marino Bartoletti, il bravo giornalista ha pubblicato un bellissimo pezzo sulla sua pagina Facebook. Ve lo proponiamo perché ne vale la pena.
La foto, invece, l’abbiamo scattata ad Ercole Baldini circa un anno fa, nella sua casa a Forlì, dove ha allestito un piccolo museo pieno zeppo di ricordi e di fascino.

Ecco il racconto di Marino Bartoletti:

Il 7 dicembre non è, o non dovrebbe essere, giorno da Olimpiadi… Eppure… Eppure esattamente sessant’anni fa accadde che, per assecondare le stagioni dei primi Giochi dell’Altro Mondo, la grande festa dello sport si tenne per la prima, unica e ultima volta dal 22 novembre all’8 dicembre.

E nella notte e nell’inverno (italiani) di quel giorno lontano e di quel posto lontanissimo – Melbourne – avvenne un miracolo di gioia e di fratellanza che ancora commuove chi ha avuto la gioia di viverlo o di sentirlo raccontare.

L’Australia era veramente lontana come la luna. Occorrevano settimane di nave per raggiungerla. Chi aveva fretta prendeva l’aereo e, facendo una decina di scali, poteva arrivare… in quattro giorni! Era, quel Continente, l’ultima meta oltremare dell’emigrazione italiana – ancora massiccia, ancora lenimento di una fame che non ci aveva del tutto abbandonato – dopo che avevano quasi raggiunto la saturazione gli storici flussi verso il nord e il sudamerica.

I nostri connazionali (c’è un vecchio film di Alberto Sordi che lo documenta in maniera, anche storicamente, impeccabile), non erano trattati coi guanti bianchi. Sapevano che quasi certamente quel biglietto del piroscafo che avevano acquistato con anni di sacrifici non avrebbe previsto il ritorno. I più fortunati si facevano raggiungere dalle loro donne, sposate per procura. I “padroni” – ed è inutile usare eufemismi – li sfruttavano ai confini della schiavitù: soprattutto quelli arrivati con l’ondata più numerosa, di poco successiva alla fine della seconda guerra mondiale

Pensate che gioia per quei muratori, quei falegnami, quei contadini, quei meccanici, quegli elettricisti (che in pochi anni avrebbero comunque guadagnato nella stragrande maggioranza rispetto, stima e anche solidità economica, ma che allora certamente soffrivano di discriminazioni che ancor oggi dovrebbero far riflettere) ritrovare la felicità e la fierezza di poter tifare per qualcuno che dall’Italia portava e restituiva loro l’immagine palpabile di una maglia azzurra e soprattutto una bandiera tricolore da poter riaccarezzare

Sportivamente parlando non furono avari per la nostra spedizione quei XVI Giochi Olimpici (prologo, non dimentichiamolo di quelli di Roma del 1960): fummo quinti nel medagliere con otto ori, otto argenti e nove bronzi, preceduti dai grandi colossi russi e americani, dai fierissimi e preparatissimi padroni di casa (dominatori nel nuoto) e da quell’Ungheria che meriterebbe un racconto a parte per l’onore e la rabbia che i suoi atleti, partiti uomini liberi e scopertisi schiavi in esilio dopo la drammatica invasione di Budapest da parte dei carrarmati sovietici, misero nelle rispettive discipline (a cominciare dalla pallanuoto dove l’acqua della piscina che ospitò la partita contro l’URSS si tinse, non metaforicamente, di rosso sangue).

L’Italia aveva fatto bene come sempre nella scherma (sette medaglie complessive), nel ciclismo su pista, nel tiro, nell’equitazione coi D’Inzeo,: qualcosa era arrivato dal pugilato e persino dal sollevamento pesi. Nel canottaggio il “quattro con” della “Moto Guzzi” vestito d’azzurro aveva conquistato un oro bellissimo e inatteso. Ma avevamo ancora una carta formidabile da giocare a un giorno dalla chiusura: nel ciclismo su strada con Ercole Baldini (appena reduce, tanto era imbattibile e polivalente, dal titolo mondiale nell’inseguimento su pista e addirittura dal record dell’ora, strappato – lui dilettante – al professionista Anquetil). Era, probabilmente, il più forte e completo ciclista del momento: e lo sarebbe stato anche nei due anni successivi conquistando tutto quello che si poteva conquistare, fino al titolo mondiale assoluto. A Melbourne aveva tutti contro. Tutti lo marcavano strettissimo, ma fece ugualmente quello che volle: se ne andò da solo, dominò, stravinse. Fra il tripudio, le lacrime e la commozione dei nostri emigranti già felici di quel momento di riscatto, ma ancora più eccitati all’idea di assistere alla cerimonia della premiazione: con la nostra bandiera sul pennone più alto, emozionati all’idea di ascoltare l’inno di Mameli

Ercole (pensate che nome per un vincitore d’Olimpia!) salì sul podio quasi serafico, con a fianco il francese Geyer e l’inglese Jackson, pronto ad assaporare con la sua simpatica naturalezza l’allegria del trionfo. Ma mentre il tricolore si stava già alzando, ci si accorse che l’inno non partiva: perché per un imperdonabile disguido non se ne era trovato il disco! La gioia per la vittoria rimase: ma montò anche la delusione di centinaia e centinaia di italiani che erano pronti a godere di quel momento e a liberare le lacrime del loro riscatto, ma che invece furono costretti assistere a quella scena surreale. Baldini stava per scendere un po’ perplesso con la sua medaglia d’oro al collo, quando dal fondo del piazzale della cerimonia di premiazione, una voce stentorea – quella del capoliverese Gualberto Gennai – intonò quasi con rabbia, eppure con inevitabile dolcezza “Fratelli d’Italia”. E quell’inno mai suonato dall’organizzazione, divenne un coro di sfrenata felicità e di smisurato orgoglio di un piccolo esercito di uomini quotidianamente umiliati, ma, in quel momento, affrancati da ogni ingiustizia.

Eppure durò poco quel canto… Perché dopo poche decine di secondi soffocò nel groppo in gola e nei singhiozzi degli stessi che l’avevano intonato. Mai l’Inno di Mameli era stato più corto e più bello! Si rise e si pianse per lo stesso motivo e nello stesso momento. Perché questo è il senso dello sport!

Gualberto Gennai è diventato presidente dell’Associazione “Gli Elbani nel Mondo”. Ercole è un meraviglioso signore di ottant’anni. A Melbourne, per ricordare quell’episodio, c’è una strada che porta il suo nome.

https://www.youtube.com/watch?v=KSS5EaPtJrg

RC

Tag: anniversariobaldinimarino bartolettimelbourne 1956olimpiadivittoria

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