22 apr 2019 – Due anni fa stavamo piangendo una tragedia. Era appena morto Michele Scarponi e stavamo scrivendo uno degli articoli più brutti mai pubblicati. E intanto cercavamo conferme. Perché quando accade qualcosa del genere la mente rifiuta la notizia. Sembrava di scrivere un “coccodrillo”, di quegli articoli che si preparano per i personaggi famosi (e anziani) per farsi trovare sul pezzo alla loro scomparsa.
Chi aveva pronto un articolo per Michele Scarponi? Non c’era storia da raccontare, bastava lasciare andare i ricordi ancora freschi.
Scarponi si stava preparando a correre un Giro d’Italia che doveva vederlo protagonista. Aveva appena vinto una tappa al Tour of the Alps. Era a mille per entusiasmo e gioia e stava per uscire a fare una sgambata veloce.
E invece è calato il sipario.
Scarponi lo abbiamo raccontato, quell’episodio ha avuto una risonanza mondiale a tutti i livelli. Scosse le coscienze della mobilità. Se muore un ciclista professionista, che in bicicletta ci sa andare e sa come comportarsi in mezzo al traffico, che speranza abbiamo noi ciclisti “normali”?
All’improvviso ci si rese conto che i ciclisti non sono tutti cattivi e stanno sempre in mezzo alla strada. I ciclisti muoiono per una sciocchezza, una distrazione.
Quel giorno ci furono due tragedie. Una immediata, una più lenta. Quel giorno iniziò a morire anche l’investitore di Michele Scarponi. Un uomo dello stesso paese, che sicuramente conosceva Michele e ne andava orgoglioso. Ne avrà parlato con gli amici vantandolo: “è del mio stesso paese”.
A distanza di neanche un anno se ne andò anche lui. Un male incurabile dissero, un altro oltre a quello che lo aveva attanagliato quel giorno e da cui non si dava pace. Pace sia adesso, per tutti e due.
Dalla tragedia di Michele Scarponi si passò alle troppe tragedie quotidiane che coinvolgono i tanti anonimi che pedalano sulle nostre strade. Si deve fare qualcosa, si disse.
E infatti se n’è detto tanto. Si è ricordato e ci si è impegnati. Scarponi viene fuori ogni volta che si parla di sicurezza stradale.
Ma i numeri ci dicono che ci dobbiamo impegnare di più, che non basta e non è bastato. Che tanti altri Scarponi ci sono stati dopo di lui e non è giusto.
E ancora pensiamo che su strada si debba dimostrare qualcosa, invece che spostarsi, o allenarsi, o divertirsi. Quando per strada c’è una tragedia il muore anche una parte di chi ne è responsabile.
Guido P. Rubino