- La saga dello Shimano Dura-Ace. Prima Parte – Gli albori
- La saga dello Shimano Dura Ace Seconda Parte
- La saga dello Shimano Dura-Ace. Terza Parte – 2004/2017
1 gen 2021 – Ci sarebbe poco da scommettere perché ormai lo hanno capito in tanti: il 2021 per Shimano sarà un anno importante, segna il centenario dell’azienda fondata nel 1921 a Sakai da Shozaburo Shimano. Il giorno “del secolo” è il prossimo 23 marzo, e a ricordarcelo è un teaser che l’azienda nipponica ha messo on line da tempo, con in bella evidenza lo scorrere del count-down che ci avvicina all’ora “X”.Sarà un centenario con il “botto”? Crediamo di sì, o almeno questa è la percezione di noi appassionati di ciclismo occidentali, che da tempo alimentiamo ipotesi sul lancio imminente della versione più aggiornata della più nota componentistica del marchio di Osaka: ovviamente stiamo parlando del Dura-Ace, sul quale già da tempo sul web fioriscono congetture che allo stato dei fatti rimangono solo tali, ma che a ben vedere bene hanno argomentate ragioni di essere alla luce dei nuovi brevetti che Shimano ha depositato lo scorso novembre.
Da sempre alluminio da assi
Insomma, per capire cosa c’è nell’immediato futuro dell’azienda giapponese c’è da aspettare poco tempo, nel frattempo noi di Cyclinside abbiamo pensato di avvicinarci a questo momento ripercorrendo proprio la storia del più iconico dei suoi reparti, quello che a quasi cinquanta anni continua a non tradire la filosofia che lo ispira sin dalla versione della prima ora: essere realizzato con un resistente e “duro” alluminio da “assi”, “Dura-Ace”, appunto. Per motivi di spazio, e anche per via di una ragionevole classificazione tecnica, divideremo la storia del Dura-Ace in tre epoche, quella che dagli esordi arriva fino al 1983, quella dal 1984 al 2003 e infine quella dal 2004 ad oggi.
Gli esordi: un gruppo che insegue?
Se provate a reperire informazioni sulla prima fase di questa grande “saga” che è stato il Dura-Ace e le tante versioni avvicendatesi poi nel tempo, l’interpretazione più comune che si trova è quella che questo reparto di vertice all’inizio fosse espressione di un’azienda che insegue, che copia l’evoluzione tecnica a chi aveva saldamente in mano il know-how per progettare e produttore componenti trasmissione destinati alle gare. Ovviamente stiamo parlando di Campagnolo. Ma siamo proprio sicuro che fosse così? Beh, effettivamente lo è stato per qualche anno, oggettivamente lo è stato in merito ad alcuni aspetti e sicuramente lo è stato per molto meno tempo rispetto a quel che l’opinione frequente (ovviamente di matrice occidentale) ci ha abituato a pensare.
Anni sessanta, per la prima volta all’estero
Dopo aver lanciato, alla fine degli anni Cinquanta, un cambio posteriore in alluminio (e l’omologo componente della Campagnolo era all’epoca ancora in acciaio… ), a metà anni Sessanta Shimano esce dai suoi confini, approcciando prima il mercato statunitense e qualche stagione più tardi l’Europa, “frontiera” fino ad allora intoccabile, continente dove il ciclismo competitivo è nato, dove la bici da corsa ha già segnato un bel pezzo della sua storia. Entrare in mercati simili obbliga Shimano a realizzare componenti di livello elevato, oggi li definiremmo componenti “premium”, destinati all’agonismo di vertice, e per questo obbligati ad offrire requisiti di funzionalità ed altissima qualità.
A quell’epoca, in casa Shimano, un efficiente deragliatore posteriore a cinque velocità interamente in alluminio era già pronto, sul parallelogramma c’era stampigliata la scritta “Crane” ed era l’antesignano di quello che lì a poco sarebbe diventato il primo cambio di classe Dura-Ace. Al cambio vengono presto accoppiati un deragliatore con fissaggio a fascetta, le levette cambio da fissare al telaio con la classica fascetta, infine i due guida cavo che consentivano di veicolare – quello grande – i cavi in acciaio dei due deragliatori sopra la scatola movimento e quello piccolo di instradare il cavo cambio verso quest’ultimo.
Tutti i componenti sono realizzati con un alluminio temprato al rame e con magnesio e zinco come materiali leganti. Le caratteristiche di resistenza e leggerezza sono superiori rispetto alle leghe leggere più diffusamente utilizzate all’epoca. Anni a venire questa lega della serie 2000 verrà definita Avional, ma all’epoca, il termine più diffuso in tutto il mondo per etichettarla era duralluminio. Di qui appunto il nome Dura-Ace che viene stampigliato su tutti i componenti (tranne il cambio), che come detto sta per “duralluminio degli assi”. E il mito può cominciare.
1973, il grande salto tra i professionisti
A sancire l’esclusività della prima componentistica Dura-Ace rispetto a tutto il resto della produzione Shimano non era solo il largo impiego di duralluminio, ma anche il fatto che Shimano, nel 1972, creò una sezione indipendente all’interno dei suoi stabilimenti destinata solo alla produzione di questa serie. Poi, nel 1973, il grande salto: i componenti di classe Dura-Ace (ma sul cambio resterà scritto “Crane” fino al 1975) formano un vero e proprio gruppo completo, e vengono forniti a una squadra professionistica europea, la belga Flandria-Carpenter-Shimano. A disposizione dei pro c’è un gruppo leggero ed efficiente, con ruote libere disponibili sia in versione a 5 che a 6 velocità, che a quei tempi erano cosa notevole. Gli allestimenti delle ruote libere? In linea con gli standard del tempo: 13-21 e 13-22 le scale più frequenti, ma – udite udite – nel bouquet di scelta tra cui potevano scegliere i corridori (o i normali amatori che questo gruppo potevano acquistarlo a un prezzo estremamente più competitivo rispetto alla concorrenza) c’era anche un 13-28 a sei velocità. Il 28, sì: un ingranaggio minimo che oggi è assolutamente attuale e che necessitava della versione “GS” del cambio, a gabbia lunga.
Altri dettagli del Dura-Ace della prima ora: la guarnitura montava di serie un paracorona, che ovviamente si poteva rimuovere. I freni, invece, avevano un design e un’architettura praticamente uguale agli apprezzatissimi Record della Campagnolo, ma le leve che li azionavano avevano uno sviluppo maggiore, oggi diremmo, erano “più ergonomici“. I mozzi, come del resto facevano tutte la altre principali case della componentistica, erano propositi sia in versione a flangia bassa che a flangia alta; quello posteriore era disponibile con la “vecchia” battuta da 120 millimetri e con la più nuova 126 millimetri, dedicata alle sei velocità.
Passi avanti: la serie 10 e poi la 7100
Il 1977 è la stagione della seconda versione del gruppo completo da strada Dura-Ace.
La casa nipponica ci arriva non prima di aver rilasciato, un anno prima, un’avanguardistica componentistica di classe Dura-Ace dedicata alla pista: il gruppo Dura-Ace 10 utilizzava una catena con passo ridotto rispetto agli standard convenzionali (10 mm tra perno e perno), destinata al lavorare su ingranaggi dedicati, con diametro inferiore dovuto alla minore interdistanza tra i denti. Il Dura-Ace 10 rendeva così le bici da pista – che era disciplina diffusissima in Giappone – più leggere, di conseguenza più scattanti e performanti. Tornando all’ambito “strada”, il reparto codificato con la serie 7100 del 1977 svecchia in parte il Dura-Ace della prima ora: le nuove parti sono riviste nel design, soprattutto per quel che riguarda un lavoro di alleggerimento che riguarda corone e leve freno.
1978, il “7200” ha già il mozzo a cassetta
Ma è con la serie EX 7200 del 1978 che il Dura-Ace fa un salto di qualità significativo: diversamente dalle altre aziende di settore ancorate allo standard degli ingranaggi con ruota libera da avvitare su un mozzo filettato, Shimano introduce il suo primo mozzo posteriore a cassetta, con architettura con corpetto rotante integrato e relativi pignoni ad innesto destinati ad esservi alloggiati. Molte altre Case ci arriveranno oltre dieci anni dopo: il sistema a cassetta garantisce maggiore rapidità nell’intercambiare o scegliere le moltipliche e inoltre assegna alla trasmissione maggiore precisione nelle cambiate.
Non finisce qui: il “7200” propone anche un sistema proprietario di connessione pedale/pedivella. Il perno del pedale culmina con una porzione filettata oversize, destinata alla relativa pedivella.
Dimensioni simili consentono di sovradimensionale i ruotismi interni del pedale, garantendo maggiore longevità agli scorrimenti e non da ultimo assegnando al binomio anche migliore efficienza aerodinamica, ovvero una nozione a quei tempi semi-sconosciuta in ambito ciclistico. E anche in questo ambito, Shimano fu pioniere, soprattutto con il gruppo che arriverà due anni più tardi…
Avanguardia aerodinamica: la serie AX«La bici ha fatto molti progressi nei suoi duecento anni di storia. La prima invenzione degna di nota è stato il deragliatore, la seconda l’introduzione di nuove leghe metalliche, che hanno reso possibile alleggerire le biciclette. Oggi, un altro storico punto di rottura rivoluzionerà l’industria della bicicletta, la bicicletta aerodinamica.
Attraverso intensivi test in galleria del vento e grazie alla ricerca scientifica abbiamo scoperto un altro campo che permetterà di migliorare la prestazione, quello della resistenza all’aria. Superando la resistenza all’aria il corridore sarà capace di vincere gare e stabilire nuovi record. Il campo aerodinamico è stato a lungo negletto, ma ora abbiamo effettuato ricerche e implementato i mezzi per combattere la resistenza all’aria attraverso componenti aerodinamici. Il 1980 sarà à a lungo ricordato come l’inizio di una nuova eccitante era e noi abbiamo l’orgoglio di essere stati pionieri nella componentistica aerodinamica che rivoluzionerà drasticamente il ciclismo per i praticanti di tutto il mondo».
Sono parole del 1980, quarantuno anni fa, parole allora di pura avanguardia e che lette oggi risultano quanto mai attuali; sono parole che introducevano la neonata componentistica Dura-Ace di classe AX, serie 7300, prima al mondo ad investire sull’aerodinamica: le forme, fino a quel momento squadrate e nette che caratterizzavano il Dura-Ace in versione standard (e come questo anche le forme della componentistica dei marchi concorrenti), lasciavano spazio a un design più dolce, profili più smussati, che a detta di Shimano garantivano nel loro complesso un miglioramento aerodinamico del venti per cento rispetto alla componentistica fino ad allora in uso. Non finisce qui, perché per la prima volta le parti Dura-Ace erano funzionale a cablaggi di trasmissione integrati all’interno del tubo diagonale e nei foderi bassi del telaio; cosa dire, poi, dell’attacco manubrio, che per essere più filante possibile prevedeva un elegantissimo sistema di fissaggio della curva tramite bussola ad espansione. A dire il vero il Dura-Ace AX non ebbe un grande successo commerciale e se così accadde fu anche perché i suoi contenuti tecnici erano troppo avanti rispetto ad un mercato “stradistico” che allora più di oggi è sempre stato tradizionalista e pigro rispetto alle innovazioni; fatto è che qualche stagione dopo la prima esperienza di Shimano, furono tanti i telaisti e i produttori di componentistica che svilupparono i loro progetti attorno a quella che è stato il parametro tecnico identificativo di quel decennio: l’aerodinamica, appunto. Anche le blasonate aziende italiane, in questo senso, arrivarono dopo, con buona pace di chi è convinto che la storia di Shimano di quel periodo sia la storia di un’azienda che insegue solamente….
FINE DELLA PRIMA PUNTATA
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Maurizio Coccia