24 gen 2021 – Prendo spunto dall’amico Giancarlo Brocci, patron de L’Eroica, che ha pubblicato un bel post su Facebook sul ritiro, anzi sulla pausa, di Tom Dumoulin e il suo “essersi tolto un peso”. Brocci parla proprio del “male di vivere questo ciclismo”.
Su Wikipedia qualcuno si è affrettato a definire l’olandese “ex ciclista”. Nell’immediatezza dell’informazione data in tempo reale o quasi non si tralascia nulla, ma probabilmente ne è contento così anche Dumoulin, che il peso di questo ciclismo se l’è tolto di dosso volentieri al punto che, tornato a casa, ha voluto farsi due ore in bicicletta anche prendendo la pioggia, ma pedalando “assaporando ogni momento”, come ha dichiarato in un’intervista a Stefano Rizzato.
Dumoulin è l’ultimo, per ora, di diversi ciclisti che mollano non per esaurimento fisico, ma mentale. Di quelli che a un certo punto dicono basta per tornare a una dimensione più umana del loro vivere lo sport, bruciati da programmi che non lasciano spazio al caso e nemmeno troppo alla fantasia.
Curiosità: proprio l’anno scorso, alla vigilia della prima gara dell’anno,le Strade Bianche, ero nello stesso albergo della Jumbo Visma, mentre finivamo la nostra colazione comoda, da giornalisti, scese un corridore di giallo vestito, giovanissimo, non saprei dire chi fosse, entrato nell’area riservata al suo team (con il covid – e soprattutto in quella “prima” – gli spazi erano separati con molta attenzione) prese un succo di frutta. Prima di versarlo, però, mise il bicchiere su una bilancia da cucina per poi riempirne il giusto, evidentemente, non una goccia di più. Tra noi commentammo sorridendo sulla maniacalità di quell’attenzione, certamente dettata da chi seguiva la preparazione dell’atleta.
Pensai a quando Ivan Basso misurava la quantità d’olio da aggiungere all’insalata: una cosa che a lui serviva anche per essere concentrato, sapendo di avere tutto sotto controllo. Mi chiesi fino a quando, e quanto, un corridore possa sostenere un regime del genere.
Ora Dumoulin ha dato una risposta, niente di nuovo, salvo che in questo ciclismo inizia a succedere un po’ più spesso. Ci stiamo avvicinando a un limite di una pressione che, in definitiva, è tutta economica?
Non era la stessa domanda che ci ponevamo quando sapevamo di Fabio Aru e del suo stipendio al di sopra della media (nel ciclismo) rispetto a risultati non molto incoraggianti? Non ha contribuito anche quello a mettere sulle spalle del corridore quei chili di troppo che lo hanno affossato?
Non so dare una risposta, ovviamente, da “spettatore” e da cronista racconto quel che vedo e leggo. Apprezzo il sorriso, finalmente, di Aru che nel ciclocross sta facendo quello che Dumoulin ha fatto tornando a casa: pedalare senza stress del risultato e senza dover dimostrare qualcosa a qualcuno. Per quello, se ha ripreso in mano la situazione, sono fiducioso pure sul suo recupero fisico.
Ma leggo anche il commento di Brocci, di cui accennavo all’inizio, che parla dei “logorati precoci” citando Kittel e Moreno Moser e fa il raffronto con quel “suo” Giro Bio del 2010 in cui Dumoulin era un ragazzone florido e molto diverso dal trentenne di oggi. Brocci punta il dito proprio sulla macchina perfetta che spesso sono diventate troppe squadre con un pedalare esasperato e troppo programmato.
Lo stop di Dumoulin – ancora non voglio parlare di ritiro – non è una buona notizia per il ciclismo. E apprezzo ancora di più corridori scanzonati come Sagan; be’ facile per un campione come lui verrebbe da dire. E allora pensate a Daniel Oss, fedele gregario che ha scelto un ruolo da comprimario dove altrove avrebbe potuto puntare molto più su. Ma ha visto in tempo, evidentemente, a cosa avrebbe dovuto rinunciare e ha fatto la scelta migliore per lui. Ci ha infilato dentro, anche in piena stagione, qualche pedalata più rilassata come quando si inventò la Justride, senza ciclocomputer e programmi.
In tanta modernità forse le squadre dovrebbero guardare di più “oltre”, anche alla Silicon Valley, dove Google dice ai suoi dipendenti di prendersi molte pause, perché la creatività si stimola proprio così.
E anche quello è un modo per non rischiare di perdere talenti. Come è Dumoulin per il ciclismo.
Guido P. Rubino
Qui sotto, il post di Giancarlo Brocci. Vi consiglio di leggerne anche i commenti, alcuni molto interessanti, da parte di addetti ai lavori.