Ma sono i corridori o è il percorso?
Qualche anno fa ci beavamo di avere una corsa avvincente, il Giro d’Italia, al posto della noia di un Tour con le prime tappe sempre uguali e le ultime al cospetto del predominio del vincitore annunciato. Noia.
Ora sta avvenendo esattamente il contrario e il Tour de France è appassionante che, a momenti, neanche ad andare a cercare nella storia se ne trovano di così avvincenti. E questo pure con un predestinato che sembra già sulla via del dominare la corsa francese come ha fatto negli ultimi due anni.
Cos’è cambiato?
È la fortuna di questa infornata di giovani su cui possiamo pure porci i dubbi di quanto dureranno, ma intanto corrono in un modo completamente nuovo e a dispetto di mille strumenti che hanno a disposizione loro come la generazione precedente. Avevamo dato la colpa della noia a misuratori di potenza e radioline che bloccavano le corse, le distillavano nei valori essenziali che definivano la classifica e pace così per tutti, tranne che per lo spettacolo.
Invece stiamo assistendo a un Tour de France che potrebbe anche essere scontato nel risultato finale (con la differenza che Pogacar, a oggi, ha pochi secondi di vantaggio sul secondo, Vingegaard, mentre l’anno scorso si contavano presto i minuti), ma che affascina perché fonte di spettacolo e attacchi anche scriteriati.
L’attacco di Wout van Aert, in maglia gialla, il giorno che poi l’ha perduta, non vale come l’attacco di Mathieu van der Poel al Giro d’Italia? Entrambe le azioni avevano una previsione impossibile: arrivare in fondo sarebbe stato davvero troppo, forse. Eppure entrambi i corridori si sono gettati in queste azioni spettacolari senza pensarci troppo, cercandole anzi, chissà se premeditate o inventate sul momento.
E dall’ammiraglia cosa gli avranno detto? Avranno urlato di fermarsi? Chissà, evidentemente, nel caso, se ne sono infischiati e hanno proseguito per la loro strada.
E Pogacar non è da meno. Potrebbe lasciare la vittoria ad altri in qualche caso, forse sì. Ma da campione sceglie di no. Sì, il campione può essere anche egoista, con la differenza che Pogacar sta simpatico anche agli avversari. Vingegaard, quando qualche giorno fa se l’è visto passare nei metri finali della “Superplanche” des belles filles, al punto di mettere il piede a terra, esausto, dopo il traguardo, non ha imprecato (almeno platealmente) e non se l’è presa.
Ha solo vinto il più forte, lo spettacolo.
Sì, forse questo ciclismo è meglio di qualche anno fa. E ci piace molto di più di alcuni arrivi di avversari abbracciati che si rendono omaggio l’un l’altro sotto il traguardo.
No no, omaggi e belle parole vanno bene dopo il traguardo, quando parlano da vecchi amici al bar, delle legnate che si sono dati. Immagine bellissima.
Ma prima del traguardo è guerra.
Viva il ciclismo. Viva questo ciclismo.
12 lug 2022 – Riproduzione riservata – Cyclinside