Il cambio della bicicletta ha qualcosa di affascinante in sé. È la prima cosa di cui chiede un principiante, a prescindere che sappia davvero cosa sta chiedendo: quanti rapporti ha?
Mi ha sempre attirato per quel suo potere magico di trasformare la bicicletta in un mezzo da salita o da discesa, per il suo funzionamento intelligente e furbo, anche semplice in definitiva.
Tanto più quando vidi il primo cambio indicizzato, metà anni ’80, quando il presidente della mia squadra di cicloturismo era Fulvio Lo Monaco, giornalista tecnico della “fu” rivista La Bicicletta e portò una bicicletta montata con quel gioiello.
Poi avevo avuto a che fare con cambi miei, comprati con qualche sforzo per fare più bella e funzionale la mia bicicletta da corridore e sognatore. Poi per lavoro a parlare di gioielli che diventavano avveniristici ma con un concetto immutato alla base del funzionamento: un deragliatore che sposta la catena su pignoni e corone.
E dopo cambi leggeri e precisi su sempre più rapporti mi sento ancora così, come quando osservavo il “presidente” a girare nel piazzale del bar per spiegarci il funzionamento di quel cambio che appariva quasi magico.
La conoscenza ora è diversa, ma il fascino per il cambio rimane lo stesso. Tanto più per le novità che vengono proposte. Ecco perché sapere di nuove idee suona sempre affascinante.
Stavolta, ad esempio, c’è stato da volare a Madrid per visitare un’azienda che più di qualcuno mi aveva già detto come “molto interessante”. Un’occasione da non lasciare allora. Che poi, a dire il vero, a perderla c’ero quasi riuscito, perdendo l’aereo a causa del traffico e di una compagnia aerea che ha chiuso il check in prima del dovuto, lasciandomi a terra.
«Don’t worry, non ti preoccupare» mi aveva subito tranquillizzato Isabel all’altro capo del telefono nel suo inglese cantato con l’accento spagnolo: «We’ll find a solution, don’t stress, una soluzione la troviamo, non prendertela». Un giorno di ritardo e visita più concentrata ma ne è valsa comunque la pena.
La casa di Rotor è proprio vicino Madrid, in luoghi diversi dove si fabbricano i componenti spagnoli con una precisione che diventa affascinante quando si vede una fila infinita di macchine a controllo numerico per lavorare ogni singolo dettaglio che andrà a comporre cambi, deragliatori, mozzi e così via.
Si lavora l’alluminio ma anche l’acciaio e c’è una parte dedicata alla fibra di carbonio con cui vengono realizzate le leve freno e alcuni dettagli del gruppo UNO, tra cui il bilanciere del cambio posteriore.
«Esce tutto da qui – ci tiene a precisare Pablo Carrasco, uno dei titolari dell’azienda spagnola – pian piano abbiamo affinato il nostro prodotto e abbiamo acquisito le aziende che lavoravano per noi, crescendo insieme».
Che poi, Rotor, è nata inizialmente dall’assemblaggio delle route, ma l’idea fu subito ingegnosa: cercare un modo per eliminare il punto morto della pedalata, sogno di molti ciclisti e studiosi della pedalata.
Pablo Carrasco e Ignacio Estellés, i due fondatori, lavorarono sull’idea immaginando un sistema complesso che faceva sì che la pedivella, dopo la fase iniziale di maggiore spinta, potesse percorrere più rapidamente il percorso che l’avrebbe portata alla nuova fase di spinta. In sostanza, quando una pedivella si trovava col pedale nel punto più basso, l’altra doveva risultare già in avanti rispetto ai 180° del sistema che conosciamo, così da mettere in condizione il ciclista di spingere prima.
Per ottenere ciò era necessario un sistema complesso di ingranaggi, dapprima esterno al telaio, poi all’interno di una scatola del movimento centrale sovradimensionata per contenere il meccanismo, pur miniaturizzato, ma comunque ingombrante.
Solo in seguito si sarebbe arrivati al concetto delle guarniture ovali, già conosciuto nel ciclismo, ma reinterpetato in casa Rotor per ottenere risultati diversi dai primi tentativi di altri produttori che non ebbero successo con il pubblico.
L’approccio di casa Rotor è quello di pensare a un problema e trovarne la soluzione senza guardare cosa fanno gli altri, così da poter fare un percorso diverso e trovare soluzioni differenti.
«Ovviamente c’è il problema dei brevetti – continua a spiegare Carrasco – perché chi è sul mercato lavora per tutelare il proprio lavoro presente e futuro, blindando così progetti di là da realizzare». E questo, in casa Rotor, è una questione ben presente visto che c’è chi studia costantemente la materia.
Intanto nei capannoni entrano le barre di alluminio ed escono gli scarti di lavorazione da riciclare e riutilizzare. Il materiale grezzo viene sgrossato e lavorato di fino, pulito, limato e trasformato in tutto quel che serve a costruire i componenti necessari. Un concerto di lavorazioni al Cnc che dev’essere diretto con precisione per star dietro a una produzione che può avere esigenze diverse durante l’anno e deve essere adattata al volo.
Un’impronta artigianale che diventa il fascino dell’azienda stessa che è da raccontare nei prossimi articoli.
Restate sintonizzati.
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